PESARO – Negli ultimi mesi sulle tavole degli italiani ha iniziato a fare capolino lo spettro degli aumenti soprattutto riguardanti pane e pasta, ovvero gli alimenti derivanti dal grano, nonché protagonisti indiscussi delle pietanze degli italiani. Per giustificare il pericolo degli aumenti spesso si è volto lo sguardo verso Est, in particolare verso il fronte del conflitto russo – ucraino. Un principio causa – effetto non così assurdo in quanto all’Ucraina è riconosciuto lo status di granaio d’Europa.
Per cercare di fare luce su quanto sta succedendo abbiamo chiesto il parere degli addetti ai lavori: titolari di forni e pasticceri che, con le mani in pasta, ci passano svariate ore al giorno: «I prezzi sono aumentati i primi di gennaio – ci riferisce Marcello Angelini, proprietario dell’omonimo forno a Pesaro da oltre 3 decenni – ma negli ultimi mesi non abbiamo più ritoccato nulla come categoria. Va detto che rispetto a qualche tempo fa ora il listino di ogni esercente è divenuto libero quindi ogni negozio può di fatto ritoccare i prezzi un po’ come vuole…posso dire che noi, come molti colleghi, non abbiamo variato nulla».
E per quello che riguarda l’aumento del pane e derivati correlato all’aumento del costo della farina dovuto alla guerra Angelini non lascia dubbi: «C’è sicuramente in atto una speculazione; di fatto la mancanza di grano o di materie prime ancora non si è avvertita. Quello che è aumentato anche per noi in maniera insostenibile è il prezzo dell’energia e del gas. Gli aumenti dei prezzi del pane risalgono a gennaio ed erano stati fatti come categoria in quanto il listino era fermo da quattro anni; sono ritocchi al rialzo fisiologici agli aumenti di ogni cosa… ma ripeto sono stati fatti a gennaio 2022». Ma come reagiscono i clienti ai proclami lanciati dai media sugli aumenti della farina? «Non ho notato grosse variazioni… viene comprato di meno il pane più particolare come quello ai cereali che costa qualcosa di più, ma per quello che concerne altri prodotti, sempre per quello che mi riguarda, nessun cambiamento rilevante».
Dello stesso tenore anche Francesco Camilloni, titolare del Panificio L’Arte Bianca di Fano: «Il prezzo del pane, in comune accordo con tutta la categoria, è stato ritoccato al rialzo ad inizio anno del 20%. Eravamo rimasti in parola di vedere se era il caso di apportare ulteriori aumenti in primavera ma alla fine non si sono realizzati». Alla domanda su quali siano le voci che più comportano un rischio di aumento Camilloni ci dice: «Il prezzo della farina è aumentato ed è la nostra materia prima principale…però si tratta di una materia a basso costo… oltretutto noi ci riforniamo solo in Italia e, al momento, la farina non scarseggia. Ad incidere sono l’energia ed i costi per i trasporti». Per quello che riguarda la spesa, alla domanda se ci siano state variazioni il titolare del panificio ci spiega: «Le notizie che vengono date in maniera impropria sui media sicuramente influenzano e pesano però al momento grosse diminuzioni del prodotto venduto non le abbiamo registrate».
Chiarito che l’aumento dei prezzi di fatto non è correlato alla guerra e non è stato applicato negli ultimissimi mesi, abbiamo chiesto il parere anche a Renato Frontini, Presidente del sindacato cereali e macchine agricoli Confcommercio Marche Centrali: «Le materie prime hanno iniziato a lievitare ad agosto e settembre 2021, la guerra è un passaggio secondario di cui, a mio parere, pagheremo le conseguenze tra 4 o 5 mesi… a far lievitare i prezzi del raccolto di quest’anno è l’attuale aumento vertiginoso dell’energia e dei costi di produzione che non riguarderà solo il grano ma anche il mais, i girasoli, il sorgo… se nel 2020 produrre un ettaro di grano costava circa 1000 euro, oggi parliamo di cifre che si aggirano intorno ai 1600 euro… ci siamo accorti di questi aumenti con lo scoppio della guerra ma la verità è che la “bomba” degli aumenti ci era scoppiata tra le mani già mesi prima e gli effetti li percepiremo nel 2023 dove a mio avviso ci sarà non solo un aumento dei prezzi, ma una vera penuria della materia prima».
Un problema per cui è necessario correre ai ripari fin da subito secondo Frontini: «Dobbiamo metterci in testa che dobbiamo tornare a produrre per mangiare e soddisfare la richiesta. La politica di dare contributi per trasformare l’Europa in un giardino oggi ci penalizza: dipendiamo da altri paesi, dobbiamo tornare a produrre in maniera sostenibile certo ma dobbiamo tornare ad essere autosufficienti. Ad oggi importiamo il 35% di grano duro… la barbabietola da zucchero è praticamente scomparsa, il mais è quasi sparito: da inizio 2000 ad oggi la produzione si è quasi dimezzata a causa del calo dei prezzi ed a causa della mancanza di strumenti per coltivarlo in maniera efficiente. Abbiamo messo al bando prodotti che ci mettevano al riparo da insetti e parassiti… rispetto la cultura biologica ma non c’è solo quella…chi coltiva per produrre oggi non lo fa più come 30 anni fa, adoperando prodotti in maniera criminale ed indiscriminata, serve ritrovare un equilibrio…dobbiamo tornare a coltivare e farlo bene».