Cosa cambia relativamente alla legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario dopo la decisione della Consulta della Corte costituzionale (sentenza 192 del 3 dicembre 2024) e dopo l’ordinanza della Corte di Cassazione (ordinanza 12 dicembre 2024)? Non essendo tecnici, abbiamo intervistato Antonio Cantaro, professore di Diritto costituzionale all’Università di Urbino “Carlo Bo”.
Innanzitutto spieghiamo cos’è l’autonomia differenziata.
«È la possibilità riconosciuta alle Regioni di godere di maggiori competenze legislative rispetto a quelle di norma loro attribuite dalla Costituzione. Si tratta di un tema ovviamente delicatissimo e anche molto complesso».
Da dove nasce questa possibilità?
«Lo prevede come ipotesi, per alcune materie, l’articolo 116 comma 3 della Costituzione. Ulteriori condizioni di autonomia, possono essere attribuite con legge dello stato su iniziativa di una regione interessata. Nel rispetto dei principi di solidarietà economica e finanziaria per i territori con minore capacità fiscale e dei principi di uguaglianza e coesione sociale su tutto il territorio nazionale».
Quali sono le competenze esclusive dello stato e dove possono intervenire le regioni?
«Lo Stato ha competenze legislative esclusive in quelle materie senza le quali l’Italia non sarebbe più un paese sovrano, uno e indivisibile. Qualche esempio: politica estera, difesa, ordine pubblico, cittadinanza, previdenza sociale, tutela dell’ambiente, dei beni culturali e così via. Le regioni hanno solo in alcune materie una competenza concorrente a quella dello stato: tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile e così via. In queste materie in cui è concorrente la competenza, rimane allo stato la titolarità per la determinazione dei principi fondamentali; solo a quel punto interviene la possibilità che siano concesse alle Regioni, a statuto ordinario, condizioni particolari di autonomia, appunto l’autonomia differenziata».
Quali sono i rischi di questo passaggio a una maggiore autonomia regionale?
C’è il rischio che l’autonomia differenziata, malamente intesa e implementata, diventi la leva per dar vita a un Paese con 20 diversi sistemi scolastici se parliamo di istruzione. Lo stesso vale per il sistema sanitario e per tanti altri diritti. Le materie che vengono richieste, soprattutto dalle regioni del nord, sono moltissime, addirittura 23. Rimanendo nell’esempio dell’istruzione, si può devolvere una funzione specifica, come la gestione di una parte del personale scolastico. Non è possibile devolvere interamente la materia. Si darebbe vita a diverse figure di insegnanti e a programmi di studio radicalmente differenti da regione a regione. Per quanto riguarda materie come la tutela dell’ambiente o la tutela dei diritti culturali, è irrazionale ipotizzare una normativa che sia valida solo all’interno dei confini regionali, se quella disciplina vuole essere efficace».
Cosa ha definito recentemente la corte costituzionale?
Non ha bocciato interamente la legge, però ha smontato alcune criticità indicando ben 7 profili di incostituzionalità della legge Calderoli e ne ha contestato gli obiettivi di fondo. Ha detto chiaramente che l’autonomia differenziata deve essere interpretata nel contesto della forma di stato italiano, non per cambiare la forma di stato sociale e regionale che è caratteristica del nostro ordinamento.
E la Corte di cassazione cosa ha stabilito?
Doveva decidere se il referendum abrogativo popolare rimaneva in piedi o se il quesito andava riformulato in base alle nuove indicazioni del parlamento circa i numerosi profili contestati. In generale ha dichiarato conformi a legge le richieste di referendum relative all’abrogazione totale della legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione; e ha dichiarato non conforme a legge la richiesta di referendum relativa all’abrogazione parziale della stessa legge n. 86 del 2024.
C’è secondo lei un rischio di tenuta sociale per il Paese?
In tutta onestà, il paese già oggi è profondamente ingiusto con alcune categorie di persone: i giovani, i più bisognosi, tutti coloro che vivono nelle zone intermedie, appenniniche, nelle periferie delle città. La legge del ministro Calderoli mette un po’ il bollo a queste profonde diseguaglianze: quale maggiore rischio per la tenuta sociale di un paese in cui esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B?