PESARO – Crisi idrica, il fiume Metauro è un sorvegliato speciale come dimostra una recente ordinanza ed ecco che le associazioni ambientaliste tornano sull’argomento.
«Puntuale come l’estate, ecco riapparire l’ipotesi del grande invaso in montagna come “unica” soluzione alla “sete della provincia”. Cerchiamo di capire come stanno le cose» spiegano GrIG Gruppo Intervento Giuridico, Guardie Giurate WWF Marche, La Lupus in Fabula. «Nel corso dei decenni, un’agricoltura con poche regole, molta assistenza e nessuno sguardo nel futuro ha inquinato pesantemente le grandi falde che si trovano nelle aree di pianura, nelle basse valli del Foglia e soprattutto del Metauro. Rendendo di fatto indisponibili tali falde. Per risolvere il problema, la politica di allora ha fatto la cosa più semplice: è andata prendere l’acqua dove c’era, ovvero in montagna, precisamente sul Nerone. Senza alcuna cautela, si è provveduto a realizzare una imponente opera di captazione, a tappeto: praticamente è stata intubata tutta l’acqua del Nerone (specie quella del versante ovest), lasciando ai corsi d’acqua della zona solo le acque derivanti dalle precipitazioni. Il torrente Giordano (Cagli) e il Fiumicello (Apecchio) sono stati sostanzialmente annientati; il primo in particolare, ha acqua solo in brevi periodi invernali, per il resto è una pietraia. Non paghi, si è rivolto lo sguardo alle acque profonde che sottostanno alla catena carbonatica del Catria e del Nerone, aprendo un pozzo sulle rive del Burano».
Per gli ambientalisti «le inaspettate, forti e costanti proteste della popolazione locale hanno di fatto impedito che anche questa risorsa ambientale venisse “sequestrata”. I risultati di questa politica sono quelli che conosciamo: l’acqua sembra non bastare mai. Eppure le concessioni agli stabilimenti di acque minerali vengono sostanzialmente “regalate”, con la sola contropartita dei posti di lavoro. Ed inoltre nella nostra provincia vi è un numero sterminato di captazioni abusive, che nessuno controlla e sanziona. Ora, le stesse forze economico politiche (straordinariamente trasversali) che hanno condotto a questa situazione propongono la loro ricetta, che è sempre quella: prendiamo quel che c’è, fin che c’è. Nessun accenno alle perdite eccezionali delle nostre tubature che, guardacaso, equivalgono alla cubatura “dell’invaso in montagna” che si vorrebbe realizzare. Nessuna ipotesi di recupero delle immense falde di pianura, inquinate dai nitrati e per questo attualmente indisponibili. Solo argomentazioni che sembrano ovvie solo ad una lettura estremamente superficiale, la solita ribollita, con dentro “Ridracoli”, i “cambiamenti climatici”, l’entroterra della provincia che ha sete (la costa no).
E qui diventa determinante il ruolo dei rappresentanti più diretti dei cittadini, gli amministratori locali, i sindaci. In passato, supinamente (o forse non se ne sono neanche resi conto) hanno accettato ogni espropriazione. Ora i tempi sono cambiati e devono rispondere a cittadini un po’ più consapevoli di quello che accade. Per giunta, quello che si prospetta sarebbe “l’ultimo esproprio”; dopo questo non rimarrebbe molto altro da prendere. Auguriamoci che non prendano per oro colato le parole di chi indica loro “l’interesse generale”, che non si facciano comprare con specchietti e perline colorate, che salvino una parte del territorio della quale, anche senza esserci mai stati, non si può fare a meno».