Pesaro

“Noi donne dell’est. Noi cittadine del mondo”, Intervista alla regista del docufilm Elena Tonelli

Il docufilm, prodotto da Impronte femminili, rassegna di arte, cultura e narrativa per le Pari Opportunità e i Diritti Umani, ha raccolto non pochi consensi approfondendo una realtà fortemente radicata ma di cui troppo poco si parla e si conosce

FANO – Un docufilm per raccontare uno spaccato di vita, di storie che riguardano tante donne che oggi vivono nelle Marche. È stato presentato a Fano, più precisamente al cinema Masetti “Noi donne dell’est. Noi cittadine del mondo”, un viaggio per conoscere e approfondire la vita e la realtà delle donne straniere che si trovano nel nostro territorio.

«L’intento è dare voce alle donne provenienti dall’Est Europa che vivono e fanno parte del nostro territorio – riferisce la regista – le loro storie sono le protagoniste in uno sguardo che va al di là del loro lavoro e indaga i loro sogni e le loro aspettative, prima di tutto come donne e non solo lavoratrici».

Elena Tonelli

Il docufilm, prodotto da Impronte femminili, rassegna di arte, cultura e narrativa per le Pari Opportunità e i Diritti Umani, ha raccolto non pochi consensi approfondendo gli aspetti di una realtà fortemente radicata sul territorio, locale e nazionale, ma di cui troppo poco si parla e si conosce.

Ci può raccontare la genesi del Suo docufilm? Qual è il messaggio che vorrebbe veicolare?
«Il docufilm nasce dal desiderio di analizzare prima di tutto un fenomeno che ci riguarda da vicino: più del cinquanta per cento dei migranti nelle Marche vengono dall’Europa dell’Est e principalmente sono donne. Donne che arrivano in Italia per lavorare, donne lavoratrici che lasciano nel loro paese famiglia e affetti per ricoprire mestieri, principalmente legati alla cura della persona, lontani dalle loro aspirazioni e dalla loro formazione. La volontà è quella di dar voce a tutte queste donne, per conoscerle e riconoscersi nelle loro storie, ognuna unica ma universale, specchio delle storie di tante altre donne che decidono o sono costrette a partire. Il tutto con uno sguardo molto intimo, prima di tutto ci sono loro, le loro vite, la loro umanità, dopo viene ogni altra veste. Quando sono stata contattata da Sara Cucchiarini, Assessora del Comune di Fano e curatrice della rassegna Impronte Femminili, non sapevamo bene dove questo percorso ci avrebbe condotto. Il punto di partenza era “conoscere”. Abbiamo passato pomeriggi assieme a tutte le donne che danno volto e voce a questo viaggio per immagini, ci siamo conosciute, raccontate, la vita di queste donne si è inevitabilmente incrociata alle nostre, e da lunghe chiacchierate sono nate le testimonianze che conducono la trama del docufilm. Credo che il messaggio più profondo sia uno sguardo al di là, al di là del loro essere “lavoratrici”: sono prima di tutto donne, figlie e madri».

Quale è il livello di integrazione?
«Si può assolutamente parlare di integrazione. Il fenomeno dell’immigrazione dell’Europa dell’Est nel tempo ha subito profondi cambiamenti. In alcuni casi siamo già alle seconde e terze generazioni, questo ci permette di parlare di certo di integrazione per coloro che hanno deciso di formare qui una famiglia. Si può parlare di integrazione si, ma ancora si ha difficoltà a parlare di “inclusione”. Includere significa poter dare davvero la libertà a queste donne di andare oltre determinati ruoli sociali. Seppur laureate molte hanno difficoltà a tentare altre carriere, più fragili forse, e più difficili da raggiungere. Di certo determinati lavori permettono di poter avere una maggiore sicurezza economica, ma allo stesso tempo tendono ad appiattirle in un ruolo».

L’Italia ha fatto passi in avanti in termini di tutele legali lavorative ?
«Dal confronto con Cgil e Cisl emerge un dato interessante, che consegna forse una sfida per il futuro. Sono stati fatti passi avanti poiché oggi si parla di un maggior numero di contratti, che permette di certo una maggiore tutela.
Ma il livello occupazionale ed il reddito pro capite da lavoro delle migranti, dove prevalentemente si parla appunto di donne dell’Est, rimane comunque distante dall’equivalente italiano. Il 27% di loro è occupato in posizioni non qualificate, contro il 5% degli italiani, ed il reddito pro capite da lavoro per una migrante straniera si attesta lordo attorno ai 13mila euro annui, con uno scarto di più di 5mila euro rispetto all’equivalente italiano.
Quindi la sfida per il futuro è proprio di rendere il loro lavoro più stabile, più qualificato e che le donne migranti siano inserite in un percorso di qualificazione professionale e di istruzione che consenta uno sviluppo significativo, cosa che consentirebbe anche un’inclusione più importante in termini sociali».