PESARO – Per fronteggiare l’emergenza idrica del pesarese era stata lanciata l’idea di un grande invaso, con captazione dal pozzo del Burano. Ma intervengono nel dibattito Massimo Pandolfi, ecologo, e Andrea Dignani, geologo, entrambi consulenti scientifici Wwf. Con un secco no alla grande opera da 15 milioni di metri cubi.
«Non servono grandi opere per la gestione clima-sostenibile del territorio. Nel contesto di clima mutato, la nostra regione soffre e soffrirà sempre di più la scarsità di precipitazioni con conseguente carenza idrica. In questo quadro la proposta di Marche Multiservizi di realizzare un grande invaso tra Apecchio e Mercatello, nell’alto Candigliano, uno dei nostri pochi corsi d’acqua con ambienti e popolamenti biologici quasi integri, risulta anacronistica, dannosa, dai costi ambientali ed economici elevatissimi e dai lunghissimi tempi di realizzazione. Ben altre opere sul territorio possono non solo consentire di accumulare acqua di superficie ma anche ricaricare serbatoi idrici sotterranei presenti nei corpi geologici adatti sia in collina che in montagna».
Per Pandolfi e Dignani «nella moderna concezione scientifica la gestione delle piene avviene attraverso la creazione di aree di laminazione, in grado di soddisfare contemporaneamente la funzionalità ecologica, le dinamiche fluviali, e le esigenze idrauliche umane da quelle per uso idropotabile a quelle agricole ed economico produttive.
Le aree di laminazione come efficienti serbatoi idrici (in California, Francia esistono da trent’anni), quando attrezzate con ampi laghi naturali a varia profondità alimentati dalle reti idriche superficiali o canalizzando ad hoc il corpo idrico principale, svolgono molteplici funzioni nella formazione di riserve idriche diversificate. Tra le funzioni efficientissimi invasi laminari di fitodepurazione, invasi naturali profondi sia per usi potabili che irrigui o per approvvigionamento industriale, produzione di biomasse alimentari (pesci e altre produzioni acquatiche, biomasse vegetali).
I grandi invasi come quello proposto del Candigliano non fanno niente di tutto questo: assorbono energie (economiche ed energetiche), tempo, fondi (che poi si ridistribuiscono in mille rivoli anche oscuri), lavoro, materiali pregiati (cemento, ghiaie, rocce…) per opere temporalmente lunghissime e localizzate e infine, quando realizzate dopo anni, obbligano ad altrettanto costosi sistemi di distribuzione dell’acqua lunghe centinaia di chilometri attraverso condotte ed acquedotti.
Ottimizzazione? No spreco e scarsa qualità progettuale, tecnica e tecnologica moderna. Sono sistemi vecchi e superati che solo la mancata adeguazione tecnologica, scientifica e gnoseologica dei nostri (primitivi) politici e amministratori
oggi sembra permettere. È davvero penoso e disarmante vedere con quanta leggerezza e ignoranza dei contenuti tecnico-scientifici sulla gestione delle acque e dei territorio venga affrontato il problema e quanto poco
la popolazione sia davvero informata».