FANO – Un treno atteso da 37 anni che difficilmente arriverà. Stiamo parlando dell’ipotesi di riattivazione della tratta ferroviaria Fano – Urbino, da anni al centro di illazioni e progetti che mai però hanno trovato risvolti concreti: tra chi vorrebbe il ritorno del convoglio, chi una pista ciclabile e chi entrambe, gli studi di fattibilità sono sempre rimasti tali. A riaccendere i riflettori sulla questione è stato il Comitato Ciclovia del Metauro.
«Per la Fano – Urbino esiste una soluzione ragionevole e conveniente per tutti: una pista ciclopedonale, come quasi sicuramente dice anche lo studio di fattibilità tecnica ed economica del ripristino della ferrovia, che RFI ha completato da più di due anni. Una soluzione tenuta accuratamente nascosta perché sarebbero smentite certe convinzioni; ad esempio, che l’ex ferrovia sia ancora “integra”, che i treni possano correre “fino a 130 km/h”, che ogni giorno possano esserci decine di corse che trasportano migliaia di passeggeri, merci in quantità, ecc.
Risultati? La ferrovia abbandonata da 37 anni continua a degradarsi, tutta la valle del Metauro viene penalizzata e non trovano ascolto le proteste di chi risiede lungo i binari».
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Che fare quindi? «Invece, utilizzando razionalmente gli spazi esistenti, almeno 4/5 metri di larghezza, sarebbe possibile far passare un Bus Rapid Transit, un mezzo di trasporto collettivo su gomma e soprattutto, senza asportare i binari, realizzare ai loro margini una ciclovia».
Il progetto permetterebbe anche di creare un parco lineare riqualificando la ricca vegetazione esistente e far nascere punti di sosta, ristoro e assistenza lungo il percorso così da valorizzare tutte le ex stazioni per attività sociali e culturali. Va detto che la stessa RFI, nei suoi Atlanti delle ferrovie abbandonate, auspica che siano gli enti locali a convertire in piste ciclopedonali le ferrovie non più utilizzate.
«Eppure – conclude l’associazione – tutte queste potenzialità in grado di rilanciare la valle del Metauro sono bloccate da un amore cieco che vuole ferrovie dappertutto, anche dove non è possibile e da certezze granitiche, comunque sempre più traballanti. Però, il motivo vero è un altro: pubblicare il famoso studio significa riconoscere il fallimento di tante promesse e perdere consensi. Per questo, soprattutto in campagna elettorale, meglio stare zitti e fermi, non dare conto della spesa complessiva di ben un milione e 350 mila euro e continuare ad illudere tanti cittadini. Il rendering allegato sintetizza quanto è possibile fare ma non si fa perché da 37 anni si è in attesa di un treno che non è mai partito».