Pesaro

Carnaroli e Zacchilli sulla (mala) gestione della sanità regionale

A scatenare l’intervento dell’ex sindaco di Fano e dell’ ex capo di gabinetto la lettera aperta di Seri a Ceriscioli. «Il servizio deve essere pubblico, gratuito e universale»

Ospedale Santa Croce di Fano
Ospedale Santa Croce di Fano

FANO – Non si placa il caos generato dalla lettera aperta del sindaco di Fano Seri al governatore Ceriscioli nella quale si chiede di rivedere l’accordo suggellato in merito alla gestione della sanità. Un dietrofront che ha già suscitato l’indignazione delle minoranze che hanno espresso tutto il loro dissenso per la linea tenuta dal primo cittadino, prima troppo attendista ed ora fuori tempo massimo per invertire la rotta.

L’accordo in questione è quello siglato nel 2018: un protocollo di intesa tra Regione Marche e Comune di Fano sull’assetto delle strutture ospedaliere dopo la realizzazione del nuovo Ospedale provinciale dell’Azienda Ospedaliera ‘Ospedali riuniti Marche Nord’.

In questi giorni sono tornati sull’argomento e sulla missiva pubblica l’ex sindaco Cesare Carnaroli e Dino Zacchilli, ex capo di gabinetto del sindaco Seri fino a poco fa e vice sindaco ai tempi dello stesso Carnaroli. I due parlano senza troppi giri di parole di una organizzazione sanitaria da riprogrammare in toto con una sostanziale revisione del piano sanitario regionale. Un vero e proprio fiume in piena che si è abbattuto non solo sul primo cittadino fanese ma su tutta la gestione sanitaria regionale del centro sinistra.

«Per anni – scrivono Carnaroli e Zacchilli – abbiamo accettato la continua riduzione di posti letto con la conseguente chiusura di strutture e reparti. E’ ora di prendere decisamente atto che vivevamo tutti una sorta di sudditanza rispetto alla cultura neoliberista che ci spingeva a ridurre la spesa sanitaria, a considerare ormai la salute come un prodotto e quindi a ritenere necessaria una sanità privata. Ora la pandemia ci ha tragicamente ricordato che la sanità deve essere pubblica, gratuita ed universale. Quello che è successo invece negli ultimi decenni è andato nella direzione opposta e la Lombardia, che ha trasformato la salute in una merce da scambiare con profitto, è risultata essere del tutto inadeguata di fronte alla pandemia».

«Inspiegabilmente nella Regione Marche si è optato per il modello lombardo- proseguono i due – con il progetto di ospedali unici nei capoluoghi e conseguente desertificazione dei servizi sanitari sul territorio, con l’apertura alle cliniche private e, poi, ribadito platealmente, in piena pandemia, con l’invito all’ex commissario della Protezione Civile Guido Bertolaso a realizzare l’ospedale Covid alla fiera di Civitanova che ha confermato il flop clamoroso di quello realizzato alla fiera di Milano. Ma un altro elemento viene a sostegno della tesi del Sindaco Seri, cui diamo atto di aver sollevato il problema, ed è quello relativo alle mancate promesse dei governanti regionali, Mezzolani e Ceriscioli in primis, che in quindici anni non sono stati in grado di realizzare, a cominciare dal nuovo ospedale Pesaro-Fano».

I due parlano poi apertamente di «smantellamento di ciò che esisteva» e tradimento degli impegni nei confronti degli Enti Locali della Provincia di Pesaro e Urbino e dei bisogni sanitari delle relative popolazioni. Un atteggiamento che ha portato nelle Marche, nel corso degli anni, alla chiusura di ben 25 strutture ospedaliere senza che venissero rafforzati i servizi territoriali.

I due poi focalizzano l’attenzione sul ruolo del nosocomio locale: «Riqualificazione e potenziamento del Santa Croce di Fano in reparti, posti letto e tecnologie. La pandemia ne ha evidenziato l’assoluta necessità: l’esigenza di dichiarare e organizzare il San Salvatore come ospedale Covid, senza il Santa Croce, avrebbe comportato il blocco di quasi tutte le attività, fino al punto di mettere a rischio perfino le nascite. Riapertura del punto di primo intervento H24 a Fossombrone, Cagli e Sassocorvaro con ritorno alla gestione pubblica delle strutture di Cagli e Sassocorvaro; recupero dei posti letto nella provincia di Pesaro e Urbino, oggi al di sotto degli standard di legge ed inferiori anche alla media posti letto/mille abitanti delle altre province, favorendo anche i plessi di Urbino e Pergola, unica struttura pubblica per la riabilitazione intensiva rimasta nel territorio e assegnando posti letto di day surgery; garantire una rete di emergenza che copra tutto il territorio provinciale, a partire dall’entroterra, con mezzi di soccorso adeguati; apertura delle Case della salute già programmate dalla Regione in particolare quella di tipo A di Colli al Metauro. Fare dei medici di base, lasciati soli durante la pandemia e perfino con scarsi dispositivi di protezione, il primo vero presidio sanitario sul territorio, riconsegnando loro il pieno esercizio della professione medica, oggi negata dalle troppe incombenze burocratico-amministrative»

Carnaroli-Zacchilli, nella loro proposta, non tralasciano l’aspetto economico e soprattutto dicono ‘no ad una sanità privata sostitutiva della pubblica’ – «I 20 milioni destinati a migliorare la viabilità potrebbero essere meglio impiegati per il Santa Croce e per le altre strutture sanitarie sul territorio. In vista di questo, e nella imminenza delle elezioni regionali, riteniamo anche che sia un obbligo morale sospendere, da parte della Regione e dell’Azienda Marche Nord, qualsiasi procedura che avvii la realizzazione del nuovo ospedale a Muraglia. Il privato, se vuole, faccia pure la clinica ma la sanità privata deve essere integrativa e non sostitutiva della sanità pubblica, soprattutto in specialità ad alta remunerazione».

«Si prenda atto – concludono – che la politica non ha saputo lavorare a quella graduale e sostanziale integrazione tra le due principali città costiere della nostra provincia e le rispettive comunità di cittadini che doveva essere il presupposto e non la conseguenza forzata per la realizzazione di un ospedale unico per le due città. Si prenda atto che non c’è consenso sociale. Oggi rimettiamo in sesto, bene e presto, quel molto che già avevamo. I cittadini non chiedono altro e ne hanno diritto»