FANO – In occasione del 1° maggio, Festa dei lavoratori, e a distanza di qualche giorno della Giornata mondiale della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il pensiero di Fano e dei suoi abitanti non può non andare a Giacomo Cesaretti e alla sua famiglia; il 26enne, che risedeva a Roncosambaccio con la madre e il fratello, ha perso la vita nella prima mattinata del 5 aprile finendo schiacciato tra un macchinario e una parete mentre lavorava presso la ditta Polver.
«Che la sua morte non sia vana – riferisce un operaio fanese – non ci si può ricordare di queste morti solamente in questi giorni e poi fare finta di nulla: il cordoglio non serve a nulla, servono sicurezza, leggi e tutele; il lavoro è un diritto, magari un dovere ma non può costare la vita».
La sua tragica vicenda rimane una ferita aperta per tutta la città tanto da far diventare il 26enne il simbolo di un dramma che non dovrebbe più ripetersi. “Dovrebbe”, un condizionale obbligato perché i dati diffuso dall’Inail riguardanti il primo trimestre del 2023 ci parlano di numeri in aumento rispetto quelli dell’anno precedente: da gennaio a marzo 2023 sono morte sul lavoro 196 persone rispetto alle 189 dello stesso periodo nel 2022. Si tratta del numero di morti più alto dal 2019, quando i morti sul lavoro nei primi tre mesi dell’anno furono 212.
Guardando all’area geografica, si nota che i morti sono aumentati soprattutto al Nord-Ovest: un +22,45%, a causa soprattutto del Piemonte, dove le vittime nei primi tre mesi dell’anno sono salite da 12 a 21. In Liguria sono cresciute da una a 4, mentre c’è stato un leggero calo in Lombardia (da 35 a 34). I morti sono aumentati anche nelle Regioni del Centro (+6,67%) tra cui le Marche (da 6 a 7), in Umbria (da 2 a 8), e nel Lazio (da 19 a 20), mentre c’è stato un calo significativo in Toscana (da 18 a 13).
In occasione di queste giornate in cui i riflettori sono ben accesi su questa grave piaga ha voluto commentare la situazione il presidente dell’Anmil, Zoello Forni, ricordando che «nel 2021, secondo l’ultima Relazione annuale dell’Inail, sono stati denunciati oltre 560.000 incidenti sul lavoro, di cui 1.361 mortali». I primi mesi del 2023, sottolinea il presidente dell’Anmil, «purtroppo non sono stati da meno: tra gennaio e febbraio di quest’anno sono stati denunciati oltre 86.000 infortuni, di cui 100 mortali. Cifre che non possiamo ignorare per la loro assoluta gravità».
Il prossimo 19 settembre l’Anmil compirà 80 anni: «Un anniversario significativo – precisa Forni – che ci fornisce lo spunto per riflessioni profonde sul nostro operato e su quanto il Paese sia o meno cambiato in questo lungo tempo. Come presidente dell’Anmil guardo ai dati sul fenomeno infortunistico con crescente preoccupazione e per questo ritengo, innanzitutto, che si debba tornare a parlare con serietà anche della tutela delle vittime e delle loro famiglie, che spesso sembra essere poco considerata. Dietro questi freddi dati ci sono infatti le storie personali di donne e uomini che hanno visto la loro vita cambiare per sempre e ai quali dovrebbe essere garantita la migliore tutela possibile sia dal punto di vista delle prestazioni economiche che da quello delle prestazioni sanitarie fino al reinserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro. Gli ultimi anni non sono stati affatto facili per le politiche pubbliche, ma gli invalidi del lavoro e le loro famiglie non possono attendere oltre, considerato che la gran parte della normativa che regola le prestazioni a cui hanno diritto è contenuta in un Testo unico del 1965, ormai non più al passo con la società ed il mercato del lavoro di oggi».
Per il presidente dell’Anmil, «occorre riformare completamente questa normativa, rivedere il sistema degli indennizzi per renderli più adeguati alla realtà odierna, ampliare la tutela e dare maggiore sostegno ai superstiti dei caduti sul lavoro sia dal punto di vista economico che del diritto al lavoro». Ovviamente altrettanto «urgente è intervenire sul fronte della sicurezza e della prevenzione dove dal 2008 mancano ancora 20 decreti attuativi che completino il decreto 81, anche se molto è stato fatto. Tuttavia il problema ha radici troppo profonde nella nostra cultura per essere sconfitto solo a colpi di norme e regolamenti: sullo sfondo, una costante mancanza di informazione e formazione, soprattutto nelle piccole imprese, laddove l’esperienza sul campo ed una tradizione lavorativa basata su vecchi metodi di lavoro, nonché sull’utilizzo di macchinari obsoleti e privi dei più moderni sistemi di protezione, diventano motivo di sottovalutazione dei rischi che provoca la maggior parte degli infortuni».