Pesaro

Nuovo ospedale Pesaro e trasferimento dei reparti, Alleanza Coop Marche: «Ci hanno dato 30 minuti per esporre le necessità»

Pesante critica del mondo del terzo settore: «Le quattro mura non bastano, servono progettualità e servizi per il welfare»

PESARO – Trasferimenti dei reparti di Muraglia, le cooperative non ci stanno.

I lavori al nuovo ospedale creano un effetto domino su reparti e strutture, sul caso interviene Alleanza cooperative Marche assieme a Agci, Confcooperative e Legacoop.

«Tutti i processi di cambiamento comportano fatiche e la realizzazione del nuovo presidio ospedaliero di Pesaro non è esente da questo passaggio. Un’opera sanitaria essenziale per la nostra comunità dovrebbe anche essere un’occasione unica per fare il punto sullo stato e sul futuro dei servizi sociosanitari del territorio. Ma questo a Pesaro non è avvenuto. Il trasferimento, reso necessario dalla realizzazione del presidio ospedaliero, ha visto l’Ast 1 negli ultimi 6 mesi bandire 4 avvisi, in prevalenza orientati a esplorare le disponibilità di spazi ed edifici utili al trasferimento, senza avviare alcun confronto con le realtà del territorio per indagare le progettualità, la storia e le esigenze dei servizi. Uno degli avvisi recitava: si precisa che codesta spett. le società avrà a disposizione 30 minuti di tempo per esporre la proposta progettuale. In questo tempo nel quale le amministrazioni pubbliche sono orientate ad attivare procedure partecipative di co-programmazione e coprogettazione, strumenti previsti e riconosciuti dalle norme, in quanto essenziali per garantire la qualità dei servizi di welfare, ci domandiamo se 30 minuti siano un tempo congruo per un confronto utile a condividere possibili strategie per riorganizzare il sistema dei servizi».

Per le coop «Il tempo per realizzare un percorso partecipato c’è stato, basti considerare che già 2 anni fa è stato firmato lo “Schema Accordo di Programma per la realizzazione del nuovo Ospedale di Pesaro tra Regione Marche, Comune di Pesaro, AOORMN”. Eppure, oggi siamo qui a dover segnalare che tutto quello che è stato prodotto sono una serie di bandi, l’ultimo dei quali, in scadenza il 24 giugno, un bando che, a fronte di una complessità dettata dal trasferimento di servizi con esigenze, storie e modelli di erogazione eterogenei, sembra valorizzare prioritariamente la disponibilità degli spazi necessari alla gestione completa, trascurando elementi organizzativi che hanno caratterizzato la qualità e la specificità dei singoli servizi e non evidenziando neanche i criteri di assegnazione dei punteggi. Certo, ogni servizio ha bisogno delle mura nelle quali svolgersi, ma riteniamo che oltre al contenitore sia fondamentale la cura dell’accoglienza degli utenti e delle loro famiglie, che è fatta di storia, progetti e legami con le comunità».

Un’analisi amara: «Senza questa seconda parte, le quattro mura sono semplici contenitori di corpi fragili. Occuparsi della storia dei servizi, delle persone che ci abitano, delle progettualità che lo animano richiede di andare oltre gli aspetti formali: servizi come l’RSA, ad esempio, sono sempre stati riconosciuti come un’eccellenza regionale che è stata in grado di costruire risposte integrate, innovative ed hanno consentito di accogliere i bisogni presenti nel nostro territorio riducendo la mobilità e contenendo i costi; attuare in modo automatico le tariffe Rd3 (definite nel lontano 2014) determinerà la fine del modulo educativo, dei progetti integrati con la comunità e l’impossibilità di continuare ad accogliere persone del nostro territorio con bisogni assistenziale più complessi. Inoltre, nei servizi in questione sono impegnate decine di operatori ed operatrici, soci/e di cooperative sociali, che da tanto tempo, in molti casi da decenni, garantiscono gli elementi qualitativi del servizio, a partire dalla conoscenza dell’utenza. Le caratteristiche del bando non offrono alcuna garanzia circa il mantenimento della continuità occupazionale di queste persone, mettendo quindi a rischio la capacità reddituale loro e delle loro famiglie. Trasferire un servizio di welfare deve essere parte di un progetto che coinvolge il territorio, questa è coprogrammazione e coprogettazione. Questi bandi sono una dichiarazione di rinuncia ad ogni progettazione partecipata e condivisa che ponga al centro progetti di vita e questo mette a rischio la qualità di servizi che sono stati e sono tutt’oggi il vanto di una collettività che è stata sempre all’avanguardia per qualità e diffusione dei servizi di welfare».

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