PESARO – Spaccio e integrazione, sul caso interviene Andrea Verde, titolare dell’Hotel Elvetia e da sempre impegnato nel progetto di accoglienza. «Le recenti dichiarazioni del sindaco Biancani permettono di aprire un dibattito sul significato della parola “integrazione” nella città di Pesaro. Partiamo dalla radice del problema; quando i migranti e i richiedenti asilo arrivano nel nostro territorio vengono ospitati nelle strutture di prima accoglienza per conto della Prefettura, i CAS (centri accoglienza straordinaria), che nella provincia di Pesaro vantano 62 strutture per circa 700 posti letto. Queste strutture ricevono un compenso economico e devono seguire un capitolato che include dei protocolli che includono l’insegnamento della lingua italiana e l’informazione normativa per l’orientamento e il supporto nelle procedure di iscrizione anagrafica per facilitare l’accesso dei beneficiari alla fruizione dei servizi erogati sul territorio, nonché l’informazione sulla normativa italiana in materia di lavoro e l’orientamento ai servizi per l’impiego; è prevista anche l’assistenza sociale e psicologica per valutare specifiche condizioni di fragilità. Per i minori il servizio assicura l’inserimento scolastico con le relative attività didattiche ed organizzazione del tempo libero».
Che prosegue: «Dopo questa prima fase è previsto il trasferimento nella seconda accoglienza dei titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati nella rete SAI (sistema, accoglienza, integrazione) il cui compito è fornire assistenza alla persona e favorire l’integrazione nel territorio. I progetti SAI vengono gestiti dagli enti locali e finanziati dal ministero dell’Interno.
Compito quindi della prima e della seconda accoglienza è di dare assistenza sanitaria, orientamento, formazione e insegnamento della lingua italiana: in una parola formare dei cittadini pronti ad integrarsi nella società».
Per Verde «La politica ha un ruolo fondamentale in tutti questi passaggi perché una buona integrazione è condizione necessaria per un inserimento nella società superando diffidenze e paure. Le cronache si occupano solo di chi delinque. Le persone virtuose, desiderose di integrarsi vanno aiutate garantendo l’autorità e la sicurezza. Molti di loro sono scappati dalla carestia, dalla guerra, dalle lotte tribali. Hanno abbandonato il caos e cercano sicurezza e l’autorità di uno Stato forte capace di aiutare chi merita di essere aiutato e capace di sanzionare chi non vuole integrarsi e non rispetta le regole. Gli spacciatori del Miralfiore arrecano un danno d’immagine enorme a tutti gli extracomunitari onesti. Una politica lungimirante dovrebbe anche proporre il modello di integrazione da adottare; comunitarismo o integrazione repubblicana? Il comunitarismo è in voga nei paesi anglofoni e prevede la separazione tra la comunità nazionale e quella degli immigrati all’interno delle quali spesso prevale la legge delle tribù, il fondamentalismo islamico che spesso si traduce nei segni ostentatori vestimentali come la burqa e l’abaya (il velo integrale). Con il comunitarismo le principali vittime sono le donne, vittime di retaggi culturali ed identitari. Al contrario il modello di integrazione repubblicana francese si basa sul principio della laicità e vieta i segni ostentatori religiosi nei luoghi pubblici (vietato il velo nelle scuole) e bandisce ogni forma di comunitarismo e di fanatismo religioso. La Francia non accetta la presenza dell’islam nel suo territorio ma tollera un islam compatibile con i grandi valori dell’illuminismo francese. Chirac e Sarkozy diedero un impulso fondamentale in questa direzione e Macron ha completato l’opera. In Italia siamo in alto mare: i dibattiti televisivi sull’argomento si trasformano in risse da bar e non è chiaro quale indirizzo vorrà prendere la politica italiana.
Siamo nell’anno in cui Pesaro è capitale italiana della cultura: occasione preziosa per aprire un vero dibattito sull’integrazione e sul modello culturale da adottare».