PESARO – Se c’è un comparto che ha sempre trainato l’economia pesarese, quello è la meccanica. La ripresa è iniziata, ma con l’export rallentato, il timore è che il pil del settore possa scendere del 10%. E non è l’unico nodo che la Fiom Cgil vuole evidenziare.
«La fase due per i metalmeccanici è iniziata prima del 4 maggio in quanto la maggior parte delle aziende hanno fatto richiesta al Prefetto per la riapertura anticipata -. È quanto rileva Fabrizio Bassotti, segretario generale provinciale della Fiom Cgil – le difficoltà per i lavoratori, in questo periodo di “ripartenza” sono tantissime. Anzitutto ci sono quelle economiche legate alla cassa integrazione che pur essendo prevista non è stata ancora erogata perché molte aziende non sono state in grado di anticipare l’indennità e hanno previsto il pagamento diretto da parte dell’Inps che a causa della burocrazia ritarda nei pagamenti.
Per quanto riguarda la ripresa produttiva a pieno regime credo che sia ancora molto distante in quanto tutti i mercati mondiali sono fermi, compreso il nostro mercato interno: già si registra un crollo drammatico della produzione industriale con previsioni di chiusura dell’anno 2020 con un Pil a -10% circa.
Tornare in fabbrica è un problema per le lavoratrici e i lavoratori che non sanno a chi lasciare i figli, visto che le scuole sono chiuse. Altro problema è l’uso della mascherina che rende molto più faticoso il lavoro in fabbrica, e lo sarà ancora di più con l’arrivo del caldo.
Abbiamo registrato anche problemi di mobilità: non si può più andare al lavoro con i mezzi pubblici o il car-sharing e naturalmente per i lavoratori aumentano le spese.
Tutte le mense aziendali sono chiuse e proprio per evitare gli assembramenti sono cambiati anche gli orari di lavoro e, con le misure di distanziamento sociale, è sparita quella socialità tra colleghi all’interno delle fabbriche che rendeva per certi versi piacevole il lavorare insieme”.
Oltre a queste problematiche c’ è la questione fondamentale della sicurezza.
«Nelle fabbriche del nostro territorio la situazione non è affatto omogenea poichè ci sono aziende scrupolosissime dove abbiamo protocolli che aggiorniamo continuamente e di cui verifichiamo l’applicazione e altre che vorrebbero applicare gli stessi protocolli ma non sono in grado di farlo obbligandoci così a segnalare inadempienze alle autorità competenti – continua Bassotti -. Inoltre c’è il grandissimo problema di tutte quelle aziende dove il sindacato non è presente. Questo vuol dire che in quei luoghi di lavoro non esiste neanche l’ombra di un controllo e di ispezioni delle autorità preposte alla vigilanza; nessuno sa se i lavoratori di questa miriade di aziende non sindacalizzate operino in sicurezza oppure no».
L’interrogativo rispetto al contagio è forte: «Sarà forse un caso che il numero maggiore di contagi che si sono registrati corrispondono geograficamente a dove sono situati i maggiori distretti industriali?
In alcune aziende lo screening dei test sierologici è iniziato ma se un lavoratore risultasse positivo dovremmo affrontare il problema della mancanza di regole precise che stabiliscano come gestire coloro che risultano contagiati dal coronavirus. I test sierologici non sono ancora ufficialmente riconosciuti dal Ssn e non c’è nemmeno uno standard nazionale che identifichi il test più efficace.
Tutto questo vuol dire che se le aperture non sono state programmate con cautela e nel rispetto di tutte le regole definite dai protocolli si rischiano focolai all’interno della fabbriche ed è chiaro che se dovesse avvenire- conclude – oltre al rischio per la salute dei lavoratori ci sarebbe anche il rischio che quelle aziende non riaprano più, con ricadute devastanti sul piano dell’occupazione e dello sviluppo».