PASQUA – Pasqua vuol dire resurrezione. Un tema affrontato da molti artisti nel corso dei secoli e nelle Marche ci sono almeno tre splendidi esempi.
Il primo è quello di Tiziano, il grande maestro veneto, la cui Resurrezione è conservata alla Galleria nazionale delle Marche a Urbino.
L’opera, assieme all’ultima cena, costituiva uno stendardo commissionato a Tiziano dalla confraternita urbinate del Corpus Domini, realizzato dall’artista a Venezia; l’opera fu portata ad Urbino nel 1544 e già dall’anno successivo le due facce dello stendardo furono separate e poste ai lati dell’altare maggiore nella chiesa della confraternita. Delle circa trenta opere di Tiziano di committenza roveresca si tratta dell’unica rimasta ad Urbino. Le due composizioni, di impianto manierista, sono costruite attraverso un gioco di diagonali e si caratterizzano per effetti di intensa drammaticità. Nella Resurrezione l’effetto drammatico è accentuato dall’intenso luminismo; la figura del Cristo Risorto, rappresentato in alto, rimanda alla scultura classica. La visione dal basso, il cui centro compositivo è lo spigolo del sarcofago, conferisce dinamicità al dipinto. Alla fermezza di Gesù risorto si contrappone la concitazione dei personaggi della parte inferiore del quadro. Splendida la resa del tramonto, con l’effetto tipico del tonalismo veneto, in cui i colori si impastano e ottengono gradazioni differenti senza avere contorni netti.
Un’altra grande opera è la Resurrezione di Giovanni Andrea De Magistris, conservata alla pinacoteca di Massa Fermana, databile al 1540. Nato a Caldarola, de Magistris è stato definito dalla critica “un artista periferico” e anche “autore senza norma”: queste frasi stanno a significare la sua personalità in grado di accogliere e interpretare le novità che giungevano nelle Marche in varie forme grazie alla presenza di maestri stranieri e per la circolazione delle incisioni. Nelle sue opere, nonostante la adesione a precisi schemi figurativi, conduce il racconto con un’aria fiabesca. Anche nella Resurrezione i piani sono ben articolati secondo uno schema classico con i soldati che creano profondità di campo e il paesaggio retrostante che indica una prospettiva solida. La gamma elegante della tavolozza definisce le forme e i personaggi.
La Resurrezione del Veneto Giambattista Franco fu eseguita durante il suo soggiorno urbinate dove aderì ai modelli di Michelangelo. Il Semolei appare un bravo disegnatore dalla mano facile e dall’impianto compositivo audace. Conservata al Museo Albani di Urbino, l’opera mostra la classica iconografia dove però i personaggi sono trattati secondo la “maniera” dell’epoca. Le figure dei soldati sono allungate in pose serpentinate e con le gambe incrociate. Cristo è circondato da un’aurea di luce in cui si dissolve.
Quella di Sebastiano Conca è una Resurrezione che ci porta al primo ‘700. Conservata a Montottone di Ascoli. La tavolozza è più scura e i personaggi sono ritratti in maniera audace. Caratteristiche tardo barocche del dipinto sono l’effetto illusionistico della prospettiva e soprattutto la rappresentazione scenografica e teatrale del tema. L’uso magistrale del chiaroscuro con l’alta espressività dei soggetti sono elementi propri dello stile del pittore.
Si formò alla scuola napoletana di Francesco Solimena. Dal 1706 si trasferì a Roma col fratello Giovanni, che fu il suo assistente. Qui si affiancò a Carlo Maratta e svolse una proficua attività di affrescatore e di artista di altari fin oltre il 1750.
Possiamo citare anche la Resurrezione di Giacinto Brandi alla chiesa di Sant’Angelo Magno ad Ascoli Piceno, un bassorilievo del ‘500 a Visso di una bottega marchigiana o la splendida pala di Giovanni Santi, padre di Raffaello, a Cagli nella cappella Tiranni, dove Cristo risorto sovrasta la celebre sacra famiglia.