Pesaro

Protocollo prevenzione Covid, ristoratori e baristi pieni di domande. Ecco i dubbi riguardo l’apertura

I professionisti si sono radunati spontaneamente nel gruppo #Ristoritalia. I portavoce: «Chiediamo a Ceriscioli di rivedere le regole per favorire l'interesse dei clienti e non delle lobby»

PESARO – Misurazione della temperatura, pannelli in plexiglass: i ristoratori criticano la bozza delle linee guida per la riapertura. C’è timore tra ristoratori e baristi delle Marche, per quanto potrà essere indicato nel prossimo decreto regionale, riguardo alla loro apertura.

Che sia il primo di giugno o anticipata, cambia poco ai circa 800 imprenditori che si sono riuniti spontaneamente nel gruppo #Ristoritalia, che solo in provincia di Pesaro ne conta quasi 400. Non piacciono infatti troppo, agli imprenditori Ho.Re.Ca, le linee guida indicate nel “Protocollo per la prevenzione del Covid nelle aziende del comparto della ristorazione a tutela dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori” redatto dalla Fipe.

Un documento che sanno essere la base di partenza di un’analisi per le imposizioni che gli verranno date per la riapertura. «È chiaro che un’associazione di categoria è portatrice di interesse di tutti i suoi associati – dicono i portavoce di #Ristoritalia -, per cui anche del produttore di termometri ad infrarossi, dei presidi sanitari (guanti, mascherine e gel battericida), di detergenti professionali, ditte specializzate nella sanificazione di ambienti e persino dei produttori di pannelli in plexiglass. Noi invece siamo portatori solo dell’interesse dei nostri clienti (che con la loro presenza fanno il nostro) la cui salute è già sempre tutelata dai protocolli dell’Haccp. Per cui ora chiediamo al governatore delle Marche e a tutti i rappresentanti in consiglio, di scindere l’interesse della popolazione e del contenimento del Covid, dall’interesse delle Lobby».

Il punto che più preoccupa #Ristoritalia è quello che riguarda “le modalità di ingresso in azienda per i dipendenti”. La Fipe richiede infatti che «il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro si sottoponga al controllo della temperatura corporea. Se risulterà superiore ai 37,5°, saranno momentaneamente isolati, ci si accerterà che indossino la mascherina protettiva e si procedarà con l’immediato avvertimento delle Autorità sanitarie competenti».

«Ma perché dobbiamo individuare un addetto che si metta a misurare la febbre al dipendente dentro il locale e poi isolarlo facendo partire una serie di controlli dentro il nostro locale per un presunto Covid? – chiede #Ristoritalia – Ma vi rendete conto di cosa vuol dire? Il dipendente misurerà a casa la febbre e se ce l’ha si metterà in malattia e farà partire la procedura. Perché devo rischiare io, datore di lavoro, che si inneschi il presupposto dell’infortunio sul lavoro che automaticamente genera una denuncia per il responsabile della sicurezza che sono sempre io?».

Non piacciono a #Ristoritalia neppure l’eventualità di istituire corsi obbligatori (a pagamento) per i dipendenti per apprendere nozioni di cui sono già edotti dall’Haccp e quella di dover pagare ditte specializzate per la sanificazione «quando basterebbe indicarci che prodotti acquistare, se difformi dall’Haccp, e possiamo benissimo pulire noi i locali».

I ristoratori temono infine che la politica si affidi troppo ad un’associazione dalla quale non si sentono rappresentati e che li ha costretti a riunirsi in un’altra associazione specifica. «La nostra reponsabilità – conclude #Ristoritalia – si deve limitare a garantire a tavoli di avventori diversi, la distanza di un metro. Non è che possiamo metterci a fare gli sceriffi chiedendo lo stato di famiglia di chi prenota un tavolo. Non è nostra responsabilità quello che accade al tavolo, se arriva una famiglia di 6 persone, una tavolata da 8, due si baciano, qualcuno si tiene per mano o si passa la bottiglia dell’olio. È nostra responsabilità invece che non ci siano contaminazioni tra clienti diversi».

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