URBINO – Arriva da Urbino un passo avanti nella ricerca sull’Aids. Pubblicato su “Journal of Translational Medicine” lo studio di Anna Casabianca e Chiara Orlandi della Carlo Bo.
Attualmente Unaids stima circa 38 milioni di persone con l’HIV/AIDS nel mondo. Nel 2018 sono state effettuate 1,7 milioni di nuove diagnosi. Anche nelle Marche esiste un monitoraggio.
Grazie ai progressi della ricerca le attuali Terapie Antiretrovirali (Tarv) hanno trasformando l’infezione da Hiv in una condizione cronica gestibile, anche se non ancora nella completa guarigione.
Infatti, nonostante la Tarv determini la completa soppressione della replicazione del virus nel sangue, tuttavia, HIV è in grado di “nascondersi” in “compartimenti” cellulari e tissutali ove è presente in varie forme di DNA latente. Questi compartimenti, denominati serbatoi o “reservoir” virali, vengono generati precocemente nell’infezione e rimangono invisibili al sistema immunitario e alla terapie che hanno per bersaglio solo il virus replicante garantendo al virus di persistere indefinitamente nell’individuo, anche dopo l’inizio della terapia.
Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse nel comprendere il ruolo del DNA dell’HIV-1 nei vari aspetti dell’infezione e della malattia, sia alla luce del suo impiego in ambito clinico per la cura dei pazienti che dei tentativi di eradicazione del virus nei pazienti.
Una recentissima ricerca guidata di Anna Casabianca e Chiara Orlandi del gruppo del docente Mauro Magnani (Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Biochimica e Biotecnologie) ha dimostrato la presenza di una nuova forma di DNA “nascosto” che ora è determinabile grazie allo sviluppo di un saggio quantitativo con sensibilità maggiore (fino al 76%) rispetto agli attuali metodi. La maggior sensibilità e accuratezza della stima dello stato reale del serbatoio di virus latente, è di fondamentale importanza nel monitoraggio dei pazienti durante le terapie Tarv in quanto è in grado di mettere in luce una forma di persistenza del virus nascosto in assenza di virus libero circolante.
Questa forma di Dna virale, finora sottovalutata e nascosta nelle cellule, costituisce un nuovo biomarcatore con significato clinico che può migliorare il monitoraggio dei pazienti in terapia e fornire un più valido supporto a strategie cliniche come protocolli di vaccinazione / immunoterapia per la cura dei pazienti, e di eradicazione del virus dell’Hiv-1.
La ricerca è stata condotta in collaborazione con ricercatori dell’ Università di Genova, dell’ Università Politecnica delle Marche, dell’ Ospedale Policlinico S. Martino di Genova, dell’ Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord Pesaro e dell’ Ospedale Bambin Gesù di Roma, sotto la coordinazione di Anna Casabianca e ora pubblicata su Journal of Translational Medicine.