Sempre più spesso si leggono notizie di cronaca che hanno per protagonisti negativi giovani e giovanissimi. Ma dietro a comportamenti violenti possono nascondersi profonde difficoltà emotive, famigliari, relazionali. I più giovani sono vulnerabili, spesso molto più di quanto sembri. Ora strafottenti, ora chiusi in un isolamento sociale, rifugiati in un mondo virtuale di web e social che li connette e li aliena allo stesso tempo. Come si può aiutarli? Quale supporto può venire incontro a queste fragilità?
Questi temi sono stati al centro di un incontro che si è svolto recentemente al teatro Portone di Senigallia, dal titolo: “Educare è anche ferirsi. Prendersi cura degli adolescenti”. All’iniziativa promossa dal servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili ha partecipato come relatrice Stefania Crema, avvocata specialista in criminologia, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Gli adolescenti sono fragili?
«In questo particolare momento storico, sì. C’è un continuum tra reale e virtuale, soprattutto alla luce dei social media e delle applicazioni social che li rendono in qualche modo sprovvisti di strumenti intesi, come quelli che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori. Cercano un riposizionamento nel mondo che non è più solo quello fisico».
Gli insegnamenti educativi finora adottati non sono più validi?
«I nostri genitori avevano tracciato un percorso che poi noi, di generazione in generazione, abbiamo migliorato. Ma era un tracciato ben chiaro. Adesso con i nostri ragazzi non è più possibile seguire questo percorso. Le fondamenta dell’educazione e della pedagogia rimangono le stesse ma quello che ci troviamo ad affrontare è non solo realtà visibile ma virtuale. L’universo delle applicazioni, dei social e della messaggistica istantanea modifica determinate modalità di relazione dei nostri ragazzi. Dovremmo trovare dei modi nuovi per educarli, applicando però i concetti educativi di sempre».
Quindi gli adulti non hanno gli strumenti adatti per accompagnare i propri figli?
«Il mondo degli adulti deve modificare il proprio ruolo genitoriale. All’inizio abbiamo faticato ad essere presenti, a dare delle regole e a stare accanto ai nostri ragazzi spiegando che il giusto e lo sbagliato, così come c’è nel mondo reale, c’è anche in quello virtuale. Queste nuove comunicazioni impoveriscono il dato emotivo perché sono dirette, veloci, non permettono di riflettere su quale può essere la risposta dell’altro rispetto alla nostra comunicazione. Anche il gergo dei ragazzi è cambiato tantissimo rispetto alla comunicazione verbale. I ragazzi si sentono privi di un traghettatore che li conduca dall’infanzia alla maturità».
Quindi il primo passo è quello di rimettersi al pari…
«Vale soprattutto per i genitori ma anche per scuole, educatori, in generale. Non bisogna pensare che il mondo virtuale non abbia ricadute su quello reale e viceversa: per loro è un continuo e un unicum, si chiama appunto “realtà aumentata”. Noi siamo abituati ad allenare i ragazzi all’autosufficienza nel mondo reale, non siamo abituati ad allenarli alla stessa autosufficienza nel mondo virtuale. Questo anche perché non siamo dei nativi digitali, quindi viviamo con un po’ di frustrazione le nuove tecnologie».
Isolazionismo e comportamenti violenti sono segnali che siamo già in ritardo?
«Le segnalazioni alla Procura presso il tribunale per i minorenni sui comportamenti devianti dei ragazzini sono aumentate sicuramente ma sono aumentate anche le possibilità di lavorare su percorsi di “restorative justice” e riparativi. Hanno un significato completamente nuovo a livello sociale, ma anche proprio dal punto di vista psicologico ed emotivo, che permette di lavorare su se stessi. Da un’esperienza negativa si può generare qualcosa di positivo. E il mondo degli adulti li deve accompagnare».
Nell’epoca in cui si fa tutto velocemente e non c’è tempo per pensare, chi può aiutarli a riflettere?
«Un tema fondamentale è quello del supporto psicologico e delle valutazioni neuropsichiatriche infantili: prima si parte, più la possibilità di recuperare una vita piena è garantita per i nostri ragazzi. Molto carente è il ruolo genitoriale: la legge italiana è molto chiara, i genitori sono responsabili per i minori. Fino al 14° anno di età i minori sono interdetti da qualsiasi piattaforma, ma sappiamo che la realtà è ben diversa e qui nasce il primo gap: l’adulto si prende una responsabilità tale per cui decide che il proprio figlio è in grado di gestire da solo delle piattaforme social ma così non è. Il genitore deve stare attento e deve vigilare fino ai 14 anni. Poi dai 14 anni i ragazzi possono avere piattaforme social ma deve rimanere il ruolo dell’adulto di accompagnamento e di monitoraggio».