SENIGALLIA – L’evento alluvionale di Senigallia non era eccezionale né imprevedibile ma si sarebbero potuti evitare alcuni danni se negli anni si fosse fatta la prevenzione e manutenzione ambientale necessaria tramite le vasche di espansione e la sistemazione delle sponde fluviali. Non solo: ci sarebbe stato un buco di alcune ore per quanto riguarda l’attivazione dell’allerta e degli organismi tecnici preposti che avrebbe rallentato poi tutta l’azione istituzionale.
Sono questi ma non solo i punti su cui vogliono far leva gli avvocati Roberto Paradisi e Domenico Liso, legali di alcune decine di persone danneggiate dall’alluvione del 3 maggio 2014, che hanno ottenuto l’accesso alle 10.309 pagine che costituiscono gli atti finora accumulati in sede di indagini dalla Procura. Tra questi, anche la relazione dei Carabinieri Forestali (depositata da oltre un anno) e dell’ing. Marco Mancini, il perito nominato dai Pm.
Faldoni che, come dichiarano i due avvocati, «contengono passaggi impietosi su un’assoluta quanto consapevole e colpevole inerzia circa l’elevato profilo di rischio di dissesto idrogeologico del fiume Misa dalle Bettolelle fino al mare».
Dalle relazioni fornite ai Pm, emergono che i dati pluviometrici dell’alluvione di Senigallia non erano tali da caratterizzare l’evento come eccezionale, né imprevedibile. Nei testi di Forestale e dell’ing. Mancini si aggiunge che gli argini non sono stati sormontati dalla piena del fiume ma avrebbero ceduto a causa di una scarsa manutenzione, che non avrebbe eliminato ciò che indeboliva le sponde fluviali ma solo tagliato selettivamente parte della vegetazione presente. A questo drammatico quadro si unisce l’assenza delle vasche di espansione promesse da anni che avrebbero potuto ridurre di almeno un 15% la portata della piena.
Poi ci sono gli aspetti tecnico-istituzionali: parlando del sistema di allerta della popolazione, va detto che concretamente venne mandato solo un sms ai residenti della zona Molino Marazzana, quando – stando alle parole dell’avv. Liso – «per legge, in caso di emergenza sarebbe dovuta suonare una sirena o qualche altro dispositivo che potesse allertare velocemente tutta la cittadinanza». La macchina della Polizia Municipale venne fatta girare per la città tardivamente secondo le relazioni a disposizione dei due legali.
Infine ci sono le questioni del PercorriMisa – il progetto ambientale i cui fondi sovracomunali avrebbero dovuto interessare maggiormente l’aspetto della sicurezza – e della riperimetrazione delle zone a rischio stabilita nel Piano di Assetto Idrogeologico (PAI), modificata prima dell’alluvione.
«Emerge una responsabilità corale di diversi soggetti istituzionali – afferma Roberto Paradisi – per i quali è difficile poi disgiungere le responsabilità personali da quelle diciamo assunte mentre si svolgeva il ruolo istituzionale».
«Dei danni che possono aver provocato le condotte o le omissioni commesse da un rappresentante di un ente istituzionale che agisce nell’ambito di quel ruolo – gli fa eco Liso – deve rispondere patrimonialmente l’ente. Per cui è una somma castroneria sollecitare il Comune a costituirsi parte civile contro Mangialardi. Il Comune è Mangialardi. E non solo lui».
Nella vicenda, però, gli intrecci giuridici e politici sono diversi e trovare il bandolo della matassa non sarà compito semplice. «Quello che è sicuro è che non può e non deve essere un processo politico. Chiedere che il Comune si costituisca parte civile è un’azione politica che va a danno degli alluvionati» conclude Paradisi riferendosi alle dichiarazioni del Coordinamento dei Comitati degli Alluvionati.