SENIGALLIA – La grave emergenza relativa all’amianto presente in edifici e manufatti di tutta la nazione coinvolge anche la regione Marche e la città di Senigallia. Le patologie correlate all’asbesto che continuano a insorgere anche a distanza di 20-25 anni e le soluzioni per risolvere il problema emerso solo dopo gli anni ‘50 sono al centro della programmazione dell’Anci, l’associazione nazionale comuni italiani, di cui Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia, è anche il presidente regionale. Proprio lui ha annunciato una prossima iniziativa nella spiaggia di velluto.
Secondo le stime dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono circa 120.000 i decessi causati nel mondo ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto, una strage: la sola Italia ne conta circa 4.000. Ma quel che è peggio è che ancora non è passato il “picco” di casi legati all’amianto. Sì perché l’asbesto, la fibra naturale impiegata dall’inizio del ‘900 per costruire praticamente qualsiasi cosa, si lega ai tessuti dei polmoni e ha una capacità di “longevità” che ha dell’incredibile: chi è stato esposto all’amianto, può vedersi insorgere una patologia anche a distanza di 20-30 anni. Le fibre possono agire dopo poco tempo oppure rimanere “dormienti” per anni: quella piccola infezione originatasi per una semplice esposizione (ma si pensi a chi ha lavorato a stretto contatto con quel materiale respirandolo ogni giorno al lavoro), può causare danni ancora per parecchio tempo.
Tra il 1930 e il 1960, nascono in Italia diversi stabilimenti che producono il materiale di cemento e amianto che veniva utilizzato in tutto il mondo con il marchio Eternit (dal nome che gli diede l’inventore pensando a un materiale molto duraturo e quasi eterno): a Bagnoli, quartiere di Napoli; a Priolo Gargallo e Augusta in Sicilia; a Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Cavagnolo (Torino), Broni (Pavia) e Bari. Ma tante altre realtà erano produttive senza quel marchio: a Senigallia c’era la Sacelit, con lo stabilimento in prossimità del mare e del porto.
Le stime indicano che il picco potrebbe insorgere tra il 2020 e il 2025, considerato che le patologie si continuano a registrare in numerosi contesti del nostro paese, nonostante dal 1992 sia stato bandito impiego e utilizzo di amianto (anche se in alcuni stabilimenti gli ultimi prodotti risalgono al ‘95) e disposta la rimozione.
Uno dei problemi relativi all’amianto (con cui si realizzavano case, edifici pubblici e capannoni, strade e vasche, tubature e acquedotti, sedie, ferri da stiro, treni, schermi dei cinema, persino i filtri delle sigarette) è la mancanza di una strategia globale, adottata solo nel 2015. L’Anci aveva presentato in consiglio dei ministri il 21 marzo 2013 un piano nazionale amianto adottato solo con la legge di stabilità per il 2015 in cui il governo destinava 45 milioni per ciascuno degli anni 2015-2016-2017 a favore del proseguimento della bonifica dei siti di interesse nazionale contaminati dall’amianto, dei quali 25 per le situazioni di estrema criticità di Casale Monferrato e Napoli-Bagnoli.
Tra i punti e i problemi discussi c’è quello dello smaltimento. L’amianto è un materiale molto resistente: a meno che non venga rotto, non rilascia le pericolose fibre e particelle che possono essere respirate. Dato che non si è ancora riusciti a trovare il modo per la separazione dei vari componenti (per lo più cemento e amianto impastati con l’acqua), una soluzione sarebbe quella di interrare i rifiuti contenenti amianto in grosse discariche, gallerie dismesse o cave abbandonate, purché siano preventivamente predisposte tutte le misure di sicurezza necessarie. Per fare questo serve però un impegno delle Regioni a individuare dei siti idonei: ma chi vuole tonnellate di rifiuti nel proprio comune?
Un altro problema è quello dei manufatti tuttora utilizzati: si tratta di capannoni, case, edifici pubblici – magari non tutti censiti – che hanno un tetto in amianto. Con il tempo e gli agenti atmosferici, i pezzetti deteriorati possono rilasciare le pericolose fibre, motivo per cui molti tetti sono da incapsulare o rimuovere. Ma le operazioni di bonifica hanno un costo di circa 120 €/tonnellata che è superiore a quello sostenuto in Germania (mediamente 20-30 euro in più).
Diverse le iniziative di sensibilizzazione sul tema, sia proposte dall’Anci, sia proposte dalle singole associazioni (a Senigallia è molto attiva l’ALA, associazione per la lotta all’amianto). Nonostante ciò, continuano a essere segnalati casi di presenza di lastre di amianto rotte: poi parte la bonifica con recupero e smaltimento da parte di ditte specializzate su richiesta dei proprietari dei beni immobili interessati o per ordine dei comuni e dell’Asur.
Proprio per fare ancora più chiarezza sulla pericolosità dell’amianto, Mangialardi (referente sul tema per conto dell’Anci) ha proposto lo scorso novembre durante la terza conferenza nazionale sull’amianto tenutasi proprio a Casale Monferrato che il prossimo incontro si possa tenere sulla spiaggia di velluto, da cui partire per un tour sulle città ad “amianto zero” che coinvolga tutte le Marche.
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