Senigallia

Arcevia vince il ricorso al Consiglio di Stato contro il piano cave provinciale

Alla base della sentenza dei giudici romani la mancata valutazione dei fabbisogni attuali e dell'impatto cumulativo con altri siti estrattivi

Arcevia: il monte Sant'Angelo e il luogo delle prime estrazioni (gennaio 2017)
Arcevia: il monte Sant'Angelo e il luogo delle prime estrazioni (gennaio 2017)

ARCEVIA – Monte S. Angelo è salvo, almeno per ora: vinto il ricorso al Consiglio di Stato contro il piano cave che la Provincia di Ancona aveva adottato nel 2021. Documento dunque da riscrivere dopo le motivazioni che hanno portato i giudici della sezione quinta di Roma alla sentenza di accoglimento del ricorso presentato dal Comune di Arcevia. Alla base dell’intervento dei magistrati ci sono l’assenza di una considerazione sull’effettivo fabbisogno estrattivo dall’area della ex cava Mancini, tuttora sotto sequestro, e la mancata valutazione degli impatti cumulativi con altri siti estrattivi.

Vittoria piena per il Comune di Arcevia e per il sindaco Dario Perticaroli che si sono opposti fin da subito all’adozione del piano provinciale attività estrattive. In tale Ppae veniva individuata come utile per l’ottenimento di maioliche e scaglie rosse l’area di Monte S.Angelo, sito storico nel frattempo convertito a luogo paesaggistico, turistico e culturale, dove sono state messe in atto anche iniziative artistiche e performative, ma soprattutto dove nel ’43 e 44 si combattè per la liberazione di Arcevia.

Dall’adozione del piano cave regionale (2005) al piano provinciale (2021) sono intercorsi ben 16 anni: un lasso di tempo troppo ampio, sosteneva il Comune, perché i valori ritenuti strategici per riattivare il sito estrattivo di Monte S.Angelo fossero ancora validi e sufficienti a superare i vincoli che insistono sull’area arceviese. Ebbene, questo criterio non è bastato a fermare il progetto provinciale: ci ha pensato la mancanza di valutazioni e documenti come sottolineato negli anni prima dal Tar Marche (2009, per difetto di istruttoria), poi il Consiglio di Stato nel 2011 e di nuovo il tribunale amministrativo regionale nel 2013 (non erano stati valutati gli impatti cumulativi sull’ambiente determinati da altri analoghi impianti gravanti sulla medesima area). Via libera nel 2014 al procedimento di approvazione poi concluso nel 2021 prima con una determinazione dirigenziale con tanto di valutazione ambientale strategica (Vas) e poi con una deliberazione provinciale. A cui oggi (sentenza del 20 aprile scorso) si è opposto nuovamente il Consiglio di Stato.

«Il “no” del Comune di Arcevia – ha riferito il sindaco Dario Perticaroli – non era detto a prescindere ma si fondava su analisi e studi che ci dicevano che il piano provinciale delle attività estrattive era ormai fuori luogo e fuori tempo, con stime errate e che non tenevano conto di altri bacini estrattivi. Dal piano regionale a quello provinciale erano passati tanti anni, il territorio era cambiato: c’era stata la crisi dell’edilizia poi estesa al resto del mondo economico; c’era stata la riconversione dell’economia legata oggi ai settori turistici e culturali; c’era poi tutta la parte della memoria da difendere: memoria di ciò che è stato, degli scontri con i nazifascisti, dei caduti partigiani. Luoghi da valorizzare per il futuro come teatro di episodi che costituiscono l’identità collettiva». Anche l’Anpi nazionale, con il suo presidente Pagliarulo, aveva espresso la sua contrarietà al progetto.

«Abbiamo impegnato soldi pubblici per arrivare fino a qui e oggi possiamo confermare che i nostri dubbi erano più che leciti. La nostra è stata la prima amministrazione a opporsi con forza al piano cave provinciale – commenta orgoglioso del risultato il primo cittadino – perché fino ad allora c’erano stati tentennamenti e timidi “no” ma solo a progetti per cave di grosse dimensioni. Noi ci siamo opposti ma con motivazioni valide: come si può tra l’altro accettare un rischio ambientale così alto quando ci sono, solo per fare un esempio, gli inerti del terremoto da riutilizzare? C’era qualche interesse dietro?». 

Di certo ora rimane un Ppae azzoppato che dovrà essere profondamente rivisto per poter vedere nuova luce ma prima che riparta l’iter e giunga a conclusione con nuove analisi e altri studi e stime attualizzate sui reali fabbisogni, passeranno ancora tanti anni. Di fatto il territorio arceviese può stare al sicuro, almeno per un po’, consapevole che sotto la cava – oggi sotto sequestro per la vicenda dei traffici illeciti di rifiuti speciali, scoppiata nel marzo 2020 – ci sono tonnellate di materiali che non dovrebbero esserci: rifiuti speciali da demolizione, terrosi, anche contaminati da inquinanti, tra cui idrocarburi, catrame, plastiche e metalli, ma anche 450 tonnellate di rifiuti organici all’interno di una buca andando a rischiare di inquinare le acque di un lago di falda limitrofo.