SENIGALLIA – Secondo weekend di movida e di momenti conviviali in centro e lungomare, il quarto per quanto riguarda le passeggiate in gruppo e solitaria e le aggregazioni nei parchi e luoghi di ritrovo. Sono passati solo pochi giorni dal via libera a determinate attività e dalla riapertura di certi luoghi (con risultati anche discutibili) ma per molti sembra di essere tornati a prima del covid-19, come se nulla fosse successo. Non è una situazione che si verifica solo a Senigallia ma in tutta Italia, dove molte opportunità di libertà sono divenute occasioni ad elevato rischio di contagi.
Se poi non accadrà, tanto meglio, ma dato che non c’è alcuna certezza sul fatto che il virus sia scomparso – e i pareri degli scienziati si dividono su più questioni – torna l’appello a essere prudenti. Lungomare preso d’assalto, centro storico affollato, parchi e giardini con molteplici assembramenti, la maggior parte senza mascherine né senza osservare alcun distanziamento sociale e interpersonale.
Tra i tanti che parlano di inutilità delle mascherine o della distanza sociale, diversi sono convinti che il virus sia scomparso o quanto meno indebolito nella sua carica virale e che comunque, adesso che siamo nella bella stagione, si avvertiranno molto meno i suoi effetti. La cosiddetta stagionalità.
Sulla questione, il virologo Guido Silvestri, docente di Senigallia alla Emory University di Atlanta, Georgia, è intervenuto più volte. Oggi, 1 giugno, è tornato a ribadire alcuni concetti, tra cui appunto la stagionalità dei quattro coronavirus endemici nella popolazione umana (CoV-HKU1, CoV-OC43, CoV-NL72 e CoV-229E), come emerso in alcuni studi (di cui fornisce nomi e riferimenti per chi volesse approfondire, Ndr). «Ricordo anche che SARS-CoV-1, l’agente responsabile della prima SARS, arrivò a novembre e sparì guarda caso, a giugno, mentre su MERS non ci si può pronunciare perché il virus non si è mai trasmesso con efficienza nella popolazione umana. Sono indizi certo, ma piuttosto forti».
Un virus meno letale dove fa più caldo? Silvestri considera i dati in Italia, «dove oltre il 90% dei morti sono stati nelle regioni sopra Toscana e Marche (comprese), dove vive il 55% della popolazione italiana, mentre dal Lazio in giù si sono verificati meno del 10% dei decessi (legati al covid-19, Ndr). Un simile gradiente si è verificato tra nord e sud della Spagna, tra nord-est e sud-ovest della Francia, e negli Stati Uniti, dove gli stati del nord che raccolgono il 45% della popolazione hanno visto il 79% dei decessi contro il 21% dei decessi negli stati del sud che raccolgono il 55% della popolazione americana».
Il docente di Senigallia da tempo trasferitosi negli Stati Uniti continua la sua riflessione sulla correlazione tra diffusione del virus e condizioni climatiche prendendo gli esempi di Canada e Australia, due paesi lontani ma simili per condizioni sociali, governative, servizio sanitario pubblico, ma anche per dimensioni, numero di abitanti, tempistica e metodologia contro con la pandemia di covid-19. «Dopo oltre due mesi, a fine maggio, il Canada ha 90.179 casi e 7.073 morti accertati, mentre l’Australia ha 7.185 e 103 morti», ricordando «infine la bassa letalità di covid-19 in Paesi dal clima caldo e secco, come nel Golfo e Nord Africa, ma anche in Ethiopia, Kenya, Senegal etc. Mentre il Brasile, che ha zone ad alta umidità e va verso il pieno inverno (adesso sono 13 gradi a San Paolo, la zona più colpita), ha una mortalità abbastanza alta». Pensare che il caldo risolva tutti i problemi però significa, forse, prenderla troppo alla leggera.
Tanto che lo stesso senigalliese, da tempo convinto che la stagionalità delle malattie possa contribuire a debellare il covid-19, invita alla prudenza. «L’altra faccia della medaglia della stagionalità, che oggi ci sorride aiutando a sbarazzarci da Sars-CoV-2, è la notevole possibilità che l’infezione ritorni a fine autunno-inizio inverno (direi dicembre, se dovessi fare una previsione) e si rimetta a causare infezioni più severe di oggi perché legate ad inoculi con cariche virali più elevate. Questo punto non può essere omesso, perché essere ottimisti non significa essere dei “giuggioloni” che, ridendo e scherzando, vanno a schiantarsi contro un muro. Ma ricordiamoci anche che se il virus tornasse a dicembre – cosa probabile ma non sicura – stavolta lo accoglieremo con un tridente potente di monitoraggio, preparazione e migliori terapie, in modo tale che mai si ripetano i disastri del marzo 2020». Insomma notizie positive da condire però con sano buon senso.