Senigallia

La salute un bene di tutti? Dal convegno di Senigallia emerge che non è così

L'iniziativa, promossa dall’ambulatorio solidale “Maundodé”, è servita per fare il punto su povertà ed emarginazione, servizi sanitari inclusivi e su una nuova accoglienza che consideri le persone non in base alle categorie sociali

A Senigallia il convegno promosso dall'ambulatorio solidale Maundodè su povertà, accoglienza e salute
A Senigallia il convegno promosso dall'ambulatorio solidale Maundodè su povertà, accoglienza e salute

SENIGALLIA – Se alcune persone rinunciano alle cure per problemi economici, possiamo davvero dire che la salute è un bene universalmente riconosciuto e, in quanto tale, garantito? È stato questo il tema del convegno di oggi, sabato 30 marzo, organizzato e promosso dall’ambulatorio medico solidale Paolo Simone – “Maundodé”, al cinema Gabbiano di Senigallia. Dopo un anno di attività della struttura nata per dare una risposta ai fabbisogni di chi vive in difficoltà e rinuncia alle cure mediche, alla prevenzione, in generale alla propria salute, era arrivato il momento di fare il punto della situazione e fermarsi anche a riflettere su chi siano i destinatari di un servizio che si pone come complementare rispetto alle strutture sanitarie ufficiali e istituzionali.

Il convegno, dal titolo “Salute: un bene per tutti“, ha coinvolto alcune delle principali associazioni attive in Italia nel campo del diritto alla salute, che interagiscono con le stesse modalità della struttura di Senigallia, come la Comunità di Sant’Egidio, Emergency, Cuamm, Caritas. All’iniziativa hanno partecipato, tra gli altri, il direttore di “Famiglia Cristiana” don Antonio Rizzolo, i presidenti del Consiglio regionale Antonio Mastrovincenzo e della commissione regionale sanità Fabrizio Volpini, il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi e il vescovo Franco Manenti.

Lo spunto di base è quanto sancito dalla Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cura gratuita agli indigenti”. Eppure nonostante siano passati 71 anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, sono ancora molte le persone che vivono in condizioni di povertà e che quindi non possono permettersi determinate cure. L’Istat ha evidenziato che quasi il 9% delle famiglie marchigiane sono in situazioni di povertà “relativa”, mentre si accentua ancora di più la forbice tra vecchie e nuove famiglie, tra popolazioni autoctone e nuovi cittadini. Differenze in aumento date le situazioni economiche e sociali, che molto spesso si trasformano in vere e proprie disuguaglianze che lo Stato, tramite il Servizio sanitario nazionale non riesce più a ricucire: sono oltre 540mila le famiglie in Italia che si curano, fanno prevenzione o ricevono farmaci e aiuti da associazioni, onlus e realtà di volontariato diffuse in tutto il paese.

Fabrizio Volpini, Antonio Mastrovincenzo e Maurizio Mangialardi al convegno a Senigallia sulla salute come bene collettivo
Fabrizio Volpini, Antonio Mastrovincenzo e Maurizio Mangialardi al convegno a Senigallia sulla salute come bene collettivo

Emanuela Sbriscia Fioretti, medico e vedova di Paolo Simone, e Attilio Casagrande hanno tirato le fila di un anno di ambulatorio solidale e aperto la tavola rotonda per lo scambio di esperienze. Sono intervenuti nomi importanti del mondo dell’associazionismo come Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria di Caritas impegnato da anni nell’ambito della salute dei migranti; Massimo Magnani, medico e responsabile della Comunità di Sant’Egidio di Civitavecchia; Andrea Belardinelli, coordinatore del Programma Italia di Emergency, indirizzato proprio alle vittime della crisi economica; Andrea Foracchia, medico volontario del Centro Salute Famiglia Straniera di Reggio Emilia del CUAMM (Collegio universitario aspiranti medici missionari).

Le conclusioni della mattinata sono state affidate al vescovo di Senigallia, Franco Manenti che ha parlato di una cultura dell’accoglienza che deve «cominciare da tutti noi per poi contaminare gli altri, fino a divenire un’opinione condivisa». Il rischio è infatti quello di considerare le persone solo in base alle etichette o categorie che noi diamo loro, come poveri, immigrati, rom, anziani. «Rischiamo di non vederle come persone, come invece suggerisce la Costituzione. Proprio lì è allora il punto centrale in cui unire forze e risorse». Serve «un nuovo umanesimo dove le persone possano essere accolte per quello che sono».