Senigallia

Sulle strade di Santiago, intervista a Don Paolo Montesi: «Esperienza per animi sensibili che anelano all’infinito»

Il racconto del parroco di Barbara tra aneddoti e riflessioni sul senso di questa esperienza straordinaria

BARBARA – Un passaggio di un antico poema del Duecento ritrovato in un remoto monastero situato sui Pirenei recita più o meno così: ‘La porta è aperta a tutti, ai Santi e agli infermi, non solo ai cattolici, ma anche a pagani, ebrei, eretici e vagabondi‘. A distanza di svariati secoli lo spirito che anima coloro che decidono di sperimentare il Cammino di Santiago non è poi così diverso.

Le motivazioni che possono spingere sulle strade di Santiago sono estremamente varie: persone in cerca della propria spiritualità, ma anche amanti del trekking e dei paesaggi naturali (vale la pena ricordare che sono patrimonio dell’ UNESCO), appassionati di enogastronomia o ancora, sportivi che mettono alla prova le proprie capacità. Non è un caso se negli ultimi anni il numero dei pellegrini che decidono di affrontare questa avventura sia in costante crescita.

La storia dell’itinerario risale al IX secolo, quando leggenda vuole che un pastorello, guidato da visioni mistiche, scoprì la tomba dell’Apostolo Giacomo il Maggiore. La tradizione vuole che a guidare l’eremita nel campo dove si trovavano le spoglie del Santo fu proprio una stella; da qui il nome campus stellae (“campo della stella”) dal quale deriva l’attuale nome di Santiago de Compostela, sede dell’omonima cattedrale e capitale della Galizia.

Le spoglie dell’Apostolo divennero ben presto meta di un flusso sempre più numeroso di pellegrini provenienti da tutta Europa, tanto da diventare, dopo Roma e Gerusalemme, il terzo cammino più battuto per i fedeli cristiani.

Il Cammino altro non è che un insieme di strade, sentieri e mulattiere che ha ufficialmente inizio a Roncisvalle, sui Pirenei, e si snoda tra boschi, campi, colline e paesini per la bellezza di 783 km delimitato da frecce gialle e pietre miliari con incastonate delle conchiglie (il simbolo del pellegrino). Nel corso dei secoli il Cammino ha visto nascere numerose rotte alternative accumunate dalla stessa tappa finale: Santiago de Compostela, appunto. Oltre alla partenza più nota sui Pirenei (percorso conosciuto con il nome di ‘Cammino Francese’), esistono le mappe dei vari ‘caminos’ alternativi: il Cammino Aragones, battuto anticamente dai pellegrini francesi provenienti da Tolosa, attraversa i Pirenei al Passo di Somport, raggiunge Jaca e Sanguesa per poi congiungersi con il percorso principale a Puente la Reina. La rotta di Santiago più antica che si conosca prende il nome di Cammino Primitivo e collega Oviedo a Compostela. Il Cammino Inglese inizia dalla città di La Coruna o Ferrol e si congiunge a pochi chilometri dall’arrivo con quello principale. Il suo nome si deve ai tanti pellegrini Britannici che arrivavano in nave fino alla Galizia per poi effettuare l’ultimo tratto a piedi. La Ruta de la Plata conduce i pellegrini che provengono dalla parte meridionale della Spagna fino al nord attraversando le antiche vie commerciali romane. Infine, il Cammino Portoghese che si biforca in due diversi percorsi: uno che lambisce la costa e l’altro che attraversa invece i boschi e le vallate dell’entroterra noti per le vigne che producono il porto.

A raccontarci in prima persona questa esperienza è stato Don Paolo Montesi, presbitero di Senigallia, da anni oramai pastore e guida della comunità di Barbara, assistente spirituale del Centro Missionario Diocesano e soprattutto pellegrino con la lettera maiuscola visto che ha portato a termine due differenti cammini. L’occasione è stato il Triduo di Santa Barbara durante il quale è stato organizzato un incontro con numerose testimonianze di diversi pellegrini di ritorno da Santiago.

Non è per te la prima volta che ti cimenti nel Cammino di Santiago. Cosa spinge le migliaia di persone che ogni anno affrontano questa bellissima, ma ardua avventura?
«Il cammino di Santiago è per gli animi sensibili, poetici, che anelano all’infinito ed a cui non bastano gli angusti confini del presente. Ciò che ci ha spinto ad andare è stato un forte senso di gratitudine al Soprannaturale per il cammino della vita sin qui percorso (35 anni di ministero sacerdotale…) e la voglia di vivere sulla propria pelle un’esperienza, che è metafora della vita stessa. Tante sono le assonanze tra un pellegrinaggio a piedi ed il cammino della nostra esistenza… Nel cammino ci si apre alla molteplicità degli approcci con cui lo si affronta… Sarebbe bello poter parlare con ognuno dei pellegrini incontrati (come in qualche caso avviene…), perché dietro ogni volto c’è una storia e si potrebbe intuire, ma solo intuire, il percorso interiore in cui si innesta questa esperienza… Ricordo due fratelli croati: Sebastian era in fase di discernimento sulla propria vocazione alla vita monastica, Elizabeta camminava, desiderosa di focalizzare meglio cosa fare dopo l’università in corso. Steve aveva lasciato il suo lavoro e la sua famiglia a Long Island, New York, per ritrovare se stesso nel silenzio di queste montagne…»

Quali sono le differenze principali tra i due Cammini da te intrapresi?
«Il nostro primo itinerario fu, nel 2013, il “cammino francese” che consta di più di 800 km da Saint Jean Pié de Port a Santiago ed è il “classico” cammino frequentato dal maggior numero di pellegrini ogni anno… La durata, normalmente, è di un mese circa e ciò che colpisce è la molteplicità dei paesaggi, dei luoghi, dei i paesi e città attraversati, dalla Navarra, a Leòn, dalla Castiglia, fino alla Galizia e per finire a Finisterrae sull’oceano Atlantico. Si incontrano le persone più disparate, per età, lingua, cultura, religione… Le motivazioni vanno dal trekking, alla ricerca dell’io interiore, alla vera e propria motivazione religiosa per chiedere il perdono a Dio dei propri peccati (come era in origine). In origine il cammino francese era comminato per i “delicta graviora” ed i monaci cluniacensi avevano elaborato un vero e proprio “manuale”, che accompagnasse il pellegrino in questo viaggio interiore. Il pellegrinaggio veniva intrapreso esclusivamente nell’arco di tempo che andava dal mese precedente la festa dell’apostolo san Giacomo il Maggiore, il 25 luglio, fino a protrarsi dieci giorni dopo tale festa. Il percorso veniva fatto individualmente, in silenzio, meditando sul testo della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, secondo il Vangelo di Marco. Il pellegrino, specialmente se proveniva da una vita segnata da colpe molto gravi, era invitato (fino a Burgos) a fare discernimento, cioè ad interrogarsi nella sua coscienza tra ciò che è bene e ciò che è male, perché probabilmente tanta e tale era la confusione, in cui era invischiata la sua interiorità. Da Burgos a Santiago, presumendo che si fosse arrivati all’opzione fondamentale per Cristo (= la “conversione”), il baricentro della riflessione e del discernimento si spostava da un “Bene” scoperto e scelto ad un “Bene maggiore”, a cui Dio chiamava il fedele. (N.B. Per tutti questi dati sulle origini del cammino verso Santiago di Compostela, occorre ringraziare i Padri Guanelliani, che da diversi anni si sono presi in carico di risvegliare le radici cristiane del cammino, nei pellegrini di lingua italiana, che quotidianamente arrivano al Santuario…). E’ chiaro, dunque, che il cammino verso Santiago, non rappresentava che una tappa fondamentale per il recupero di una “vita nuova” alla luce della “grazia divina”. L’arrivo alla Cattedrale di Santiago, con la sua magnificenza, entrando in essa attraverso il “Portico della Gloria”, con l’ “abrazo del Apostol” e la possibilità di lucrare l’indulgenza plenaria per i peccati del passato, davano l’opportunità al pellegrino di vivere per un attimo l’estasi della realtà celeste ritrovata. Ma… il cammino non finiva qui !?! Ancora tre tappe e, a Cabo Finisterrae, contemplando il meraviglioso tramonto del sole sull’oceano Atlantico, la riflessione, necessariamente, si spostava sul momento del nostro distacco dalla vita terrena… Le conchiglie raccolte sulla spiaggia, infine, sarebbero state la conferma dell’avvenuto pellegrinaggio! Non a caso la conchiglia è anche oggi il simbolo del pellegrinaggio jacopeo.

Il “cammino primitivo” è chiamato così, perché fu intrapreso nel 829 dal re delle Asturie Alfonso II, detto il Casto, e risultò il primo pellegrinaggio iacobeo della storia. E’ un percorso molto più austero del “cammino francese”, scelto, secondo le statistiche, dal 4% dei pellegrini che vanno a Santiago annualmente. Non incontrando così tante persone lungo il tragitto, se non nei punti di ristoro o negli ostelli, la natura da cui si è avvolti permette in particolar modo la riflessione introspettiva e la preghiera…»

Quale è la giornata tipo durante il Cammino?
«Intraprendendo un pellegrinaggio, la vita quotidiana entra in un’altra dimensione: la “velocità” negli spostamenti ritorna a “passo d’uomo”, i tempi si allungano lasciando grande spazio all’introspezione, la fretta non fa più parte della giornata, anche perché deve fare i conti con le reali nostre (poche) energie! Ci si sveglia alle ore 5.00, badando bene a non svegliare chi ancora, nel camerone dell’ostello, dorme… Alle ore 5.30 / 5.45 si parte zaino in spalla. Alle luci dell’alba, dove si trova un bar aperto si fa una buona colazione! E lungo il percorso non ci si fa mancare della frutta (banane, agrumi, ecc.), che fornisca potassio alla muscolatura. Essendo la nostra squadra composta da due sacerdoti e due laici, abbiamo anche riservato, lungo il percorso, degli spazi alla preghiera comunitaria ed alla celebrazione della Messa, cui volendo potevano aggregarsi anche altri pellegrini di passaggio. La velocità media sostenuta è di circa 2,5 km orari; quindi la tappa constava di 25 km circa, le ore di cammino erano circa dieci. Insomma… alle 18.00, o in qualche caso anche alle 19.00, si era all’ostello successivo. Il tempo di una doccia e di una cena abbondante e poi, a letto presto per un buon recupero delle ore di sonno…»

È un’esperienza alla portata di tutti o necessità di una preparazione specifica?
«Direi che tutti coloro che sono in buona salute possono compiere il cammino, che si può effettuare anche in mountain-bike. Certo il “cammino primitivo” pur essendo più breve del “francese”, cioè di circa 335 km e della durata di tredici giorni, è risultato più ostico, dato il dislivello del percorso affrontato e la lunghezza media delle tappe (una metà delle tappe raggiungeva i 27/30 km…). Mi vien da dire, che le difficoltà più grandi non siano a livello corporeo – muscolare (anche se le vesciche fanno la loro parte !?!), quanto a livello “mentale”… si tratta cioè, a mio avviso, di aver ben chiara la meta che ci si è prefissa e ricordarla a se stessi ripetutamente, perché quando la fatica, le intemperie ed il peso dello zaino gravano in maniera pressante sul fisico, in certi momenti del viaggio, la tentazione dello scoraggiamento è forte… In quei casi, determinanti sono i compagni di viaggio! La compagnia, il confronto (o lo scontro!?!) con i vari punti di vista e le decisioni prese in comune sono di gran sostegno a tutta la squadra!»

Quali sono i momenti più belli, le istantanee indelebili che ti porterai con te per tutta la vita?
«Gran parte del “cammino primitivo” deve il suo fascino, all’essere totalmente immerso nei boschi e nei prati dei monti Cantabrici. In particolare ricordo la “Ruta de los Hospitales”, per passare dalla valle del Narcea alla valle del Navia: il pensiero che i 12 km lungo i crinali della sierra di Fonfaraon e della sierra del Palo costituissero lo stesso paesaggio contemplato dai pellegrini medievali era molto affascinante…»

… e quelli più difficili?
«Ho ben in mente, in particolare, la seconda e la terza tappa del “cammino primitivo”, rispettivamente di 23,5 km e di 29,3 km… Con il fisico non ancora avvezzo al peso dello zaino (… che puntualmente riempio più del necessario !?!), se non fosse stato per la tenacia del mio compagno di viaggio don Mauro Mattioli, non sarei arrivato a destinazione…»

Cosa ha rappresentato per te questo viaggio?
«Il pellegrinaggio a piedi è una grande “allegoria della vita”: si comprende l’importanza degli altri, che, simpatici o antipatici, camminano con te… si impara a fare i conti con le proprie forze e la propria fragilità… si apprende il valore del raccontare della propria vita e dell’ascolto di quella altrui… anche la capacità di “empatia”, cioè di mettersi nei panni dell’altro, prima di esprimere un giudizio o un parere, è molto importante… Infine la virtù dell’umiltà è essenziale, quanto impegnativa, per mantenere una squadra coesa lungo tutto il cammino. Il nostro gruppo, fortunatamente, tutte queste caratteristiche le ha tenute insieme e, quindi, alla fine è risultata una bella esperienza!»

A chi consiglieresti questo cammino?
«Tutti coloro che si avvicinano a questa esperienza, normalmente ne rimangono affascinati e ritornano a casa col desiderio di ripeterla… (come è avvenuto di fatto per me!). E non sono poche le persone che, in un momento critico della propria esistenza, con l’esperienza del cammino, hanno maturato nuove scelte di vita… Ripenso con gioia a Sara che colà ha trovato l’amore della sua vita, da cui, nel tempo, è nato il suo primogenito di nome Jacopo (naturalmente…). Quindi l’esperienza che allarga gli orizzonti del cuore e della mente a tutto il mondo!»