SENIGALLIA – Nuovi sviluppi in merito all’indagine sul caporalato che aveva portato a un arresto nel maggio 2020 di un cittadino pakistano residente nel senigalliese. Pochi giorni fa è stato individuato anche un complice connazionale che si era reso allora irreperibile tornandosene nel suo paese di origine. Si tratta di un 50enne che due anni fa sarebbe dovuto finire in carcere perché responsabile anche lui del sistema con cui faceva arrivare a Senigallia cittadini pakistani per sfruttarli per il lavoro nei campi.
A riportare alla luce una serie di situazioni sommerse di sfruttamento e costrizioni ci aveva pensato un’articolata indagine del Commissariato di pubblica sicurezza di Senigallia. L’indagine, partita in realtà nel 2019, aveva permesso di scoprire che alcune decine di persone, in condizione di bisogno, erano costrette a lavorare nei terreni agricoli di alcune aziende della provincia dorica e pesarese con le quali i due responsabili avevano già un accordo per la fornitura di manodopera.
I braccianti, impiegati in una vasta area che andava dallo jesino, all’hinterland senigalliese fino all’area del Cesano e persino nel fanese, lavoravano per varie ore, ben più di quanto risultasse nei contratti, o addirittura in nero. Dal compenso di meno di 5 euro l’ora, erano poi trattenute delle quote per le spese del vitto, alloggio e per il loro trasporto nei luoghi di lavoro. Pessime anche le condizioni degli alloggi in cui vivevano, sia dal punto di vista igienico sanitario che umano: fino a 20 persone sono state trovate in un sottotetto di un edificio al Brugnetto di Senigallia con gravi criticità strutturali.
Come se non bastasse, i due pakistani tenevano a bada ogni tentativo di fuga o allontanamento dei braccianti agricoli: per evitare imprevisti, venivano presi e trattenuti anche i loro documenti d’identità e i permessi di soggiorno.
Dei due responsabili, un ragazzo di 30 anni era stato arrestato nel maggio 2020 in base a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona, mentre il connazionale 50enne se n’era tornato in Pakistan rendendosi irreperibile. Pochi giorni fa ha fatto rientro in Italia. Non è stato però arrestato: nel frattempo l’ordine di carcerazione è stato tramutato in una misura cautelare personale più lieve, corrispondente al divieto di dimora in provincia di Ancona. Il provvedimento gli è stato notificato dagli agenti e l’uomo non potrà dunque tornare nei luoghi dove era stato messo in piedi il sistema di sfruttamento della manodopera. Le accuse andavano dai reati di intermediazione illecita allo sfruttamento del lavoro (il cd. caporalato, in base all’art.603 bis del codice penale), ma anche al favoreggiamento all’immigrazione clandestina.