ROMA – Slitta ancora la sentenza definitiva sul risarcimento prima concesso e poi chiesto indietro dallo Stato ai figli di Marianna Manduca. Non è stata ancora scritta la parola fine a una drammatica vicenda che ha scosso l’intera nazione e persino Senigallia: qui infatti a oltre mille km di distanza, vivono oggi i figli della donna uccisa a Palagonia (Ct) nel 2007 per mano del marito Saverio Nolfo, nonostante le 12 denunce presentate.
La sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro era stata fissata per la giornata di ieri, 9 dicembre. Era attesa non solo dalla famiglia Manduca e Calì, ma da tutto il paese che vorrebbe fosse messa fine a una vicenda che va avanti – tra processi vari – da oltre 10 anni. Lo scorso 25 novembre, durante il discorso in occasione della giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, era intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, per affermare che lo Stato non avrebbe richiesto indietro il risarcimento di 260mila euro concesso ai tre figli di Marianna Manduca, adottati dal cugino Carmelo Calì e da sua moglie Paola. Soldi con cui era stato acquistato e risistemato un immobile divenuto poi un bed & breakfast.
L’udienza si è tenuta tramite la trattazione scritta fatta dagli avvocati della famiglia Calì e dall’avvocatura dello Stato, ma la sentenza è stata rinviata a data da definirsi. Si è praticamente in attesa che venga stabilita la data della nuova udienza in cui si dovrebbe finalmente ascoltare la sentenza definitiva sulla vicenda del risarcimento.
Alla base però c’è sempre l’intervento del premier Conte che si era preso un impegno di fronte all’intera nazione: «Dico a Carmelo, Stefano e Salvatore che, certo non riavranno più la loro mamma (Marianna Manduca, Ndr), ma lo Stato finalmente può sottoscrivere un accordo transattivo, che riconoscerà a loro non solo di poter conservare la somma percepita, come danno patrimoniale, ma anche una cospicua somma a tutti e tre loro a titolo di danno non patrimoniale».
Su questo ennesimo rinvio, le uniche parole di Carmelo Calì sono state di amarezza perché, «come al solito, in Italia va così».