SENIGALLIA – L’estate 2022 non sarà contraddistinta “solo” dalla crisi politica interna, dalla guerra in Ucraina che continua da cinque mesi, dai rincari dei prezzi, dalle alte temperature o dalla siccità: come se tutto ciò non bastasse anche la pandemia si fa nuovamente sentire. E si riaffaccia nelle nostre vite in uno dei momenti in cui si riteneva di poter tornare alla normalità, l’estate appunto. L’ondata di contagi che in questi giorni sta tenendo banco nelle cronache nazionali, ovviamente, non lascia indenne nemmeno la spiaggia di velluto, anzi, sta cogliendo un po’ tutti di sorpresa. Oltre alla questione dei rischi per la salute, delle conseguenze a lungo termine, delle vacanze rovinate e delle disdette negli hotel già quasi pieni, c’è il tema dell’organizzazione per l’autunno che verrà. E con il personale ridotto all’osso, non c’è da scherzare perché uno scenario possibile è quello del blocco delle attività ospedaliere.
Per fare il punto su tutto questo abbiamo parlato con il dottor Claudio Balicchia, medico di Senigallia che non solo ha contribuito a creare le linee guida delle Usca a marzo 2020 ma che poi da allora, ininterrottamente, ha lavorato in prima linea a casa dei malati del territorio. Ed è proprio lui a cercare di contestualizzare l’ondata estiva di contagi che stiamo vivendo, senza creare ulteriori allarmismi. «Fondamentalmente, se oggi ci fosse il virus dell’autunno scorso, stando ai numeri che si registrano, avremmo reparti e terapie intensive piene fino a scoppiare. Le caratteristiche cliniche di questo virus Omicron 5 (ma già si parla della nuova variante Centaurus che deve ancora arrivare in Italia, Ndr) sono molto diverse dalle varianti Delta o dal virus originario: ecco perché oggi c’è molta meno pressione sul sistema ospedaliero. Dovremmo essere, presumibilmente, al picco di questa ondata e iniziare la decrescita entro fine luglio. Il calo ciclico che si verifica d’estate c’è anche quest’anno, ma si nota meno perché siamo investiti da una variante molto più contagiosa: si pensi solo che l’anno scorso, di questi giorni, in provincia affrontavamo una decina di casi giornalieri e c’era il terrore; oggi se ne fanno centinaia e si vive tranquillamente, quindi c’è un impatto psicologico diverso».
E se così stanno le cose, forse allora è il caso di iniziare a prestare meno attenzione ai numeri assoluti e concentrarsi di più sui casi impegnativi, sui soggetti fragili che, con maggior frequenza, vengono ospedalizzati. D’altronde «si sapeva che Omicron fosse molto più contagiosa delle precedenti varianti covid: la grande differenza è che un malato di omicron oggi infetta potenzialmente dalle 15 alle 17 persone, mentre con il virus originario di Wuhan se ne infettavano 3,5; solo per fare un confronto – spiega Balicchia – chi è malato di una semplice influenza potrebbe infettarne 1,5». C’è da aggiungere però che questo alto numero di infezioni si risolve in maniera asintomatica o paucisintomatica pressoché da sola, senza complicazioni gravi come due anni fa. Altrettanto chiaro è che se crescono i numeri dei positivi, nonostante una bassa percentuale di letalità, aumentano anche i casi molto gravi o i decessi. «Rispetto alle altre varianti – prosegue – c’è dal 60 al 70% in meno di probabilità di finire in terapia intensiva e tantissimi hanno una forma benigna. Ora, al momento del picco, contiamo 100 morti su 100 mila contagi; con il ceppo di Wuhan erano 800 con solo 30 mila contagi. Il Covid lo stiamo addomesticando, ma sarà un nostro compagno di viaggio ancora per molto tempo».
Adesso è dunque il momento di spostare l’attenzione più sull’organizzazione sanitaria territoriale, per fronteggiare con relativa tranquillità il periodo autunnale e invernale. «Il virus va anticipato – afferma ancora il dr. Balicchia – non inseguito, proprio perché molto contagioso. Se ci prepariamo adesso all’inverno, potremmo non essere costretti a chiudere reparti, a non spostare le operazioni chirurgiche, a non annullare visite, screening ed esami». Di fatto, con personale medico sempre più carente, diventa quasi impossibile recuperare gli arretrati. La missione principale è oggi potenziare la medicina del territorio, come le Usca smantellate al 30 giugno, e fare i conti con un virus che pian piano si sta trasformando in una presenza endemica, qualcosa di cui non ci libereremo ma con cui dovremo convivere per anni e anni.
Qualche dato: l’Usca del distretto di Senigallia, dal 1°aprile 2020 al 30 giugno 2022 ha preso in carico di assistenza domiciliare oltre quattromila pazienti, su libera segnalazione dei propri medici curanti. Grazie alle visite domiciliari – sono quasi duemila le sole ecografie polmonari – agli esami del sangue a domicilio con gli infermieri dell’ADI, all’ossigeno a domicilio, all’attività di monitoraggio quotidiano per i casi impegnativi e poi alla prescrizione di anticorpi monoclonali e farmaci antivirali specifici nei soggetti a rischio nell’ultima fase, grazie a tutto questo si è evitato che un numero elevato di persone accedesse al pronto soccorso e ai reparti ospedalieri, bloccandone di fatto l’attività. Uno sbarramento di cui si dovrebbe tenere conto ora mentre ci si prepara all’autunno: «Io non so se siamo pronti per l’inverno: i decisori non siamo noi medici. Mi limito a dire che finora non abbiamo brillato per prontezza».
Prepararsi significa anche riflettere sulla vaccinazione, unica arma oltre ai farmaci antivirali: «Al momento- si augura Balicchia – chi può è bene che faccia ora il vaccino, anche quello vecchio, perché è comunque in grado di ridurre i rischi di complicazioni ed evoluzioni gravi. Non c’è bisogno di aspettare settembre l’arrivo dei vaccini aggiornati anche per Omicron, soprattutto chi è a rischio lo faccia subito».