Da grande malata d’Europa a prima vero guarito. E se parlare di guarigione definitiva forse è prematuro, definirla una degenza più che positiva è sicuramente lecito.
Si potrebbe raccontare così la parabola del Regno Unito che a novembre era tra i paesi del vecchio continente con i numeri pandemici più allarmanti, tanto da far spingere il governo Johnson più di tutti sull’avvio della campagna vaccinale che ha avuto inizio a dicembre ed è proseguita a ritmi martellanti: sono state raggiunte infatti le 800mila dosi al giorno.
A cinque mesi di distanza dall’allarme rosso il paese si trova a tirare un sospiro di sollievo tanto da fare passi da gigante verso il ritorno alla normalità, con la riapertura di moltissime attività che finora erano rimaste chiuse a causa delle misure di emergenza contro il contagio da Covid-19. Come anticipato giorni fa dal Premier, in settimana sono arrivati gli attesi allentamenti alle restrizioni che hanno permesso di rialzare le serrande di pub e negozi.
A raccontarci come stanno andando effettivamente le cose è Sara Volpini, senigalliese che, dopo una laurea alla Bocconi in Economia dei mercati finanziari, nel 2010 si è trasferita a Londra dove attualmente vive e lavora come Executive Director per una nota banca d’investimento.
Il Regno Unito è passato da essere il grande malato d’Europa a primo guarito. A novembre il Paese era tra i più falcidiati dalla pandemia, da qualche giorno addirittura sono stati riaperti negozi e pub: quale clima si respira a Londra?
«Il clima è di certo diverso e più rilassato. La gente si sente più felice e ottimista poiché può ritornare a fare cose normali come tagliarsi i capelli, un massaggio, un’ora di palestra, o un giro per negozi. Queste piccolezze sono state vietate per quasi 4 mesi. Durante il Lockdown, l’unica alternativa a restare in casa era una passeggiata, una corsa, o la spesa al supermercato. Anche gli esercenti sono ottimisti perché vedono le loro attività riprendere gradualmente e i clienti tornare a mangiare fuori (nel vero senso della parola) o fare acquisti. Inoltre la gente ha meno paura di uscire di casa perché sa che più del 60% della popolazione ha almeno una dose di vaccino e il 17% entrambe le dosi».
Il merito di questa escalation positiva è sicuramente correlata alla imponente campagna vaccinale che, su scala mondiale, è stata seconda solamente a quella messa in campo da Israele. In Italia gli sparuti casi di effetti collaterali causati da Astrazenca hanno generato numerose rinunce: essendoci stati dei casi anche in Uk, qual è stato l’impatto mediatico sul paese britannico?
«Anche in UK si è parlato tanto degli effetti di Astrazeneca, ma il tasso di rinuncia è rimasto minimo. La differenza più significativa è che in UK c’è un’unica autorità sanitaria nazionale indipendente che decide senza dover aspettare le decisioni di organismi sovranazionali (EMA per esempio) che si sono poi rivelate confuse, contraddittorie e che hanno fortemente minato la fiducia della popolazione non solo su Astrazeneca, ma sui vaccini in generale. Inoltre, la comunicazione è chiara e trasparente, sia sull’approvazione dei vari vaccini, sia sulla priorità della somministrazione che sulle tempistiche, e non ci sono stati cambi di rotta sulle priorità per avvantaggiare delle categorie rispetto ad altre (come gli insegnanti in Italia). Da ultimo, non ci sono continuamente virologi in TV o sui social che propongono le loro idee e contraddicono le decisioni ufficiali. I rappresentanti delle autorità sanitarie comunicano attraverso i canali ufficiali e le decisioni governative vengono prese in consenso con esse; inoltre i dati che vengono utilizzati e monitorati sono condivisi, facili da interpretare e disponibili a tutti sul sito del governo. Tutto ciò ha contribuito a mantenere la fiducia nelle autorità sanitarie alta e la gente si è continuata a vaccinare con confidenza. Io stessa ho già ricevuto la prima dose di AstraZeneca, senza il minimo ripensamento o dubbio».
Oltre all’imponente campagna vaccinale, dovendo fare un confronto con l’Italia e le famigerate zone colorate, come è stata gestita la pandemia per quello che concerne le restrizioni? In generale come viene percepita dall’estero la situazione del Bel Paese?
«Anche in UK c’era un sistema simile alle zone, chiamato “Tiering” ed è stato in funzione dopo il Lockdown di Novembre. Il governo ha però concluso subito che gli effetti sul contenimento del contagio non erano significativi anche a causa dello scoppio della variante inglese che ha portato ad una crescita esponenziale dei contagi durante il periodo natalizio. Di conseguenza, dall’inizio di gennaio siamo entrati di nuovo in lockdown. La situazione italiana era molto seguita durante la prima ondata poiché l’Italia era stato il primo paese europeo in cui l’epidemia di COVID è scoppiata. Oggi l’attenzione non è così specifica, tranne durante il periodo del cambio di governo. L’Italia viene guardata nel contesto europeo e non è considerata diversamente. La grandi domande che la gente in UK si fa è come l’Europa si sia fatta trovare impreparata sulla variante inglese, quando l’epidemia era diverse settimane indietro e l’impatto era visibile già in UK, e come mai non sia riuscita a vaccinare in maniera efficace, con i vari paesi che prendono decisioni contraddittorie, o indipendentemente approvano e usano nuovi vaccini».
Negli ultimi giorni diverse categorie lavorative sono scese in piazza lamentando la mancanza di ristori e tutele da parte dello Stato italiano. Quali sono state le strategie messe in campo dal governo Johnson?
«Il governo Johnson ha dovuto inventare un sistema di welfare e supporto che non esisteva, creando il “furlough” che è una specie di cassa integrazione e che garantisce l’80% dello stipendio mensile fino a un massimo di £2,500. Questo benefit è stato esteso a tutte le categorie, dai lavoratori dipendenti all’equivalente delle partite iva. L’unico requisito era avere una dichiarazione dei redditi su cui poter calcolare il reddito perso. Una volta fatta la richiesta, i soldi vengono pagati sui conti correnti il giorno dopo. Inoltre, sono stati anche garantiti dei prestiti alle imprese, di diverso genere e con diversi schemi di rientro. Tutto ciò ha aiutato tutte le categorie a sopravvivere, quando possibile. Inoltre, visto il protrarsi della pandemia, lo schema è stato rinnovato più volte e resterà in piedi fin quando il paese sarà riaperto e tutte le attività economiche potranno riprendere. La cosa determinante di questo supporto all’economia è stata comunque la certezza del supporto monetario e la regolarità dei pagamenti».