SENIGALLIA – Laura Papadia, la vittima del femminicidio di Spoleto di mercoledì scorso, è stata aggredita di spalle dal marito Nicola Gianluca Romita, 47 anni, che l’ha poi strangolata al culmine di una violenta lite. Non è chiaro al momento se l’abbia afferrata per il collo solo con le mani o si sia servito di un foulard, un lenzuolo o un indumento, ma certamente la povera donna ha cercato con tutte le sue forze di difendersi.
Sono questi i primi riscontri emersi dall’autopsia eseguita ieri, 31 marzo, all’ospedale di Perugia dai medici legali Mauro Lancia ed Eleonora Mezzetti incaricati dalla Procura di far luce su alcuni aspetti fondamentali del terribile delitto consumato all’alba di mercoledì nell’abitazione di via Porta Fuga, palazzo nobiliare al centro di Spoleto.
Da quanto emerge dalle prime risultanze medico-legali, sembra che sotto le unghie della vittima siano state rinvenute tracce di tessuti, poi repertati e che saranno analizzati dagli esperti della Scientifica per chiarire meglio la loro natura. Nell’appartamento sono stati sequestrati durante il sopralluogo alcuni oggetti, la cui analisi alla ricerca di tracce di Dna o ematiche potrebbe far comprendere meglio quale sia l’arma del delitto.
Di quelle drammatiche ultime ore di Laura Papadia, 36 anni vice direttrice di una supermercato del centro, il marito reo confesso dice di non ricordare nulla.
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Lui, si trova recluso al carcere di Spoleto a disposizione del Gip. I medici legali hanno 10 giorni di tempo per consegnare alla Procura il riscontro anatomopatologico e chiarire i quesiti chiesti dal Procuratore capo Claudio Cicchella e dal sostituto Alessandro Tana, primo fra tutti se Laura al momento del delitto aspettasse un figlio.
Il desiderio di maternità della donna, fortemente osteggiato dal marito – che di figli ne ha già due da precedenti relazioni – potrebbe essere il movente del delitto. La furia omicida potrebbe essere stata scatenata nel corso della lite dall’aver appreso dello stato interessante della moglie, anche se la Tac disposta dalla Procura ed eseguita lunedì sul corpo della vittima non avrebbe permesso di stabilirlo. Dunque sono stati disposti accertamenti specifici, saranno eseguiti esami istologici di laboratorio ed esami molecolari per fugare questo dubbio. I familiari della vittima (il papà Maurizio arrivato a Spoleto da Palermo e il fratello Alexander, giunto dagli Stati Uniti) sono convinti che questa ipotesi della presunta gravidanza non sia concreta, piuttosto si dicono certi, tramite i loro legali Filippo Teglia e Andrea Palazzi, che la povera Laura sia stata uccisa per aver manifestato al marito la volontà di porre fine al loro matrimonio.
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Laura era innamoratissima di Nicola, aveva lasciato la sua amata Palermo per seguirlo a Spoleto, dove quattro anni fa si erano sposati. Sembra che fosse stata proprio lei ad aiutarlo a trovare lavoro come agente di commercio per una cantina vinicola alle porte di Perugia. Lei sognava un futuro insieme e credeva in quel rapporto, così tanto da desiderare di mettere un figlio con quell’uomo che poi è diventato il suo assassino. I familiari sono convinti che nonostante quel grande sentimento, Laura fosse esausta dalle continue liti e dagli allontanamenti del marito che sempre più spesso andava a rifugiarsi nell’appartamento di Marzocca di Senigallia quando litigavano, per poi tornare sempre indietro, come un elastico. Di un rapporto di coppia in crisi ha sempre parlato anche Romita agli investigatori, sostenendo che il delitto d’impeto fosse maturato al culmine dell’ennesima lite e che lui fosse snervato per quella situazione di continue tensioni.
La sua versione, resa sia nel primo interrogatorio mercoledì che durante l’interrogatorio di garanzia sabato in carcere, sembra però non convincere gli inquirenti. Se il riscontro diagnostico dei medici legali dovesse confermare che Laura era in stato interessante al momento del delitto, la già grave posizione di Nicola Gianluca Romita – in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato – si appesantirebbe ulteriormente.