Senigallia

Femminicidio di Spoleto: la confessione del marito non convince gli investigatori

L'autopsia dovrà chiarire alcuni aspetti fondamentali del delitto della donna avvenuto a Spoleto. Intanto dopo l'interrogatorio di garanzia, Nicola Romita resta in carcere

SENIGALLIA – Sarà eseguita oggi, 31 marzo, dalla dottoressa Eleonora Mezzetti, medico legale incaricato dalla Procura di Spoleto, l’autopsia su Laura Papadia, la 36enne palermitana uccisa all’alba di mercoledì nella sua abitazione al centro di Spoleto dal marito, Nicola Gianluca Romita 47enne, reo confesso.

Il medico legale dovrà chiarire le modalità con cui la giovane donna, vicedirettrice in un supermercato del centro, è stata uccisa: da un primo riscontro al momento del sopralluogo, i segni sul collo e sul viso lasciavano ipotizzare una morte per strangolamento. Ed è anche quanto ammesso dal marito della vittima, che durante il primo interrogatorio mercoledì in Commissariato e durante l’interrogatorio di garanzia sabato in carcere, ha parlato di un gesto d’impeto al culmine di una lite. Versione che però non convince gli inquirenti.

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La Procura tramite il medico legale vuol capire se la povera Laura è stata strangolata a mani nude o con un lenzuolo (o indumento) e se abbia subito altre violenze. Sembra che la lite culminata con l’omicidio sia iniziata nella notte e sia andata avanti fino all’alba, e che vi sia stata una colluttazione tra i coniugi anche se la casa era in ordine e apparentemente non vi era nulla che potesse lasciar supporre una lite violenta. Neppure i vicini avrebbero udito urla o rumori nel cuore della notte.

Un altro dubbio da chiarire è l’ora del decesso: dai primissimi riscontri investigativi la morte sarebbe stata collocata tra le 5 e le 7. Ma non è chiaro come mai Romita abbia lanciato l’allarme solo verso le 10 quando la ex moglie, dalla Sardegna, ha chiamato il 112 dicendo che l’ex marito aveva appena ucciso la attuale compagna.

Vi sono dei “buchi temporali” tra il delitto e le prime chiamate che Romita avrebbe fatto – alla ex, al datore di lavoro e al 112 – resta quindi da chiarire cosa abbia fatto in quelle ore e dove si trovava. Il medico legale dovrebbe anche chiarire se Laura aspettasse un figlio, ipotesi ventilata nel corso delle indagini ma scartata categoricamente dall’avvocato difensore Manola Petrini Antinori, la quale sostiene che al momento non vi sono prove di alcuna ipotesi su presunte gravidanze. Eppure il desiderio di Laura di diventare mamma, osteggiato dal marito che di figli ne aveva già due da due precedenti relazioni, potrebbe essere uno dei moventi del delitto.

L’interrogatorio di garanzia.
Nel corso del lungo interrogatorio di garanzia al carcere di Spoleto, per cinque ore Nicola Gianluca Romita ha ribadito la sua versione dei fatti. Davanti al gip Maria Silvia Festa, al carcere di Spoleto, Romita ha confermato tutto quello che già aveva dichiarato nel primo interrogatorio, mercoledì. Ha parlato di un rapporto coniugale in crisi da qualche mese, di una lite scoppiata nella notte (senza però chiarire il motivo) e di quella sua esasperazione che, in un gesto d’impeto lo avrebbe portato a uccidere la moglie strangolandola. «Ero stanco dopo tre mesi di litigi, non ce l’ho fatta più», ha continuato a ripetere. Ma non convince la sua ricostruzione, non convincono quei buchi di memoria sul motivo della lite, sulle modalità dell’omicidio (ha strangolato la moglie a mani nude o con un lenzuolo, o un tessuto?) e sulla ricostruzione di quelle ore terribili. Non ricorda Romita, così come non dice il perché abbia lanciato dal ponte delle Torri di Spoleto – dove la Polizia lo ha bloccato mentre minacciava il suicidio – il suo cellulare privato, dispositivo di forte interesse investigativo.

La gip si è riservata la decisione e non c’è quindi ancora un provvedimento di convalida, ma è questione di tempo. Intanto Romita resta in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela. Intanto Spoleto si è fermata sabato per una fiaccolata partecipatissima al centro della città, per ricordare Laura, per dire “basta” alla violenza, per manifestare solidarietà al papà e al fratello di questa ragazza considerata da tutti come un raggio di sole per dolcezza e grazia.