SENIGALLIA – Prosegue a pieno ritmo l’impegno dei giovani e degli adulti del CoGeU, l’associazione nata dopo quanto avvenuto l’8 dicembre 2018 alla Lanterna Azzurra. A cinque anni dai terribili fatti che portarono alla morte di cinque adolescenti e di una giovane mamma, oltre al ferimento di quasi 200 giovani provenienti da vari comuni delle Marche, non arretra di un metro la forza e la tenacia di chi si batte con il proprio lavoro di volontariato civico per far sì che simili tragedie non accadano più. La ricorrenza di oggi, 8 dicembre 2023, oltre alle varie iniziative programmate per la ricorrenza, è l’occasione per capire che passi avanti sono stati fatti, non a livello processuale ma politico e sociale. Ne abbiamo parlato con la presidente del CoGeU, Luigina Bucci.
Come portate avanti questo impegno nel ricordare una tragedia che tante persone stanno cominciando a dimenticare?
Abbiamo coinvolto i giovani in prima persona, perché crediamo che siano loro a poter dare un valore aggiunto a quest’azione di parlare ai ragazzi di ciò che è accaduto. Lo facciamo innanzitutto nelle scuole grazie alla collaborazione dei dirigenti scolastici che, non a caso, sono tra gli ospiti delle iniziative di oggi, ma soprattutto con coloro che hanno vissuto sulla propria pelle quella tragedia, perché possano portare la propria testimonianza, in un rapporto tra pari.
C’è ancora bisogno di ricordare?
Sì, assolutamente. Il senso, in via prioritaria, è proprio quello. Qualcuno sta dimenticando cosa è avvenuto l’8 dicembre 2018 a Corinaldo e qualcun altro era troppo giovane per capire o per conoscere i fatti. Molti rimangono increduli e a bocca aperta quando i nostri ragazzi del CoGeU vanno nelle scuole e raccontano la propria esperienza. Una testimonianza quanto mai preziosa.
Oltre al racconto e al dialogo, che azioni concrete state portando avanti?
Insistiamo su un percorso molto impegnativo che ha portato finora alla stesura di un manifesto per il divertimento in sicurezza che abbiamo presentato in vari locali e scuole di tutta Italia e a un patto di corresponsabilità che vede i giovani coinvolti essi stessi perché possano essere più consapevoli dei luoghi che frequentano a quell’età. E poi c’è tutto l’iter legislativo perché possa divenire legge nazionale quanto finora fatto a livello regionale: una legge sul divertimento in sicurezza che, dopo una prima approvazione in Senato, dovrà nei prossimi mesi essere discussa in commissione affari istituzionali alla Camera.
A livello sociale, che risposte avete avuto dalle comunità toccate da questa tragedia?
Tanti hanno apprezzato il lavoro svolto finora, ma non è mancata a qualcuno la percezione che si stia dimenticando quanto avvenuto o che non si stia facendo abbastanza. La prima cosa che mi sento di dire è che il cambiamento richiede tempo per essere compreso e assimilato. E questo nonostante la collaborazione che abbiamo trovato in vari enti, istituzioni, realtà.
Come ci si sente cinque anni dopo la Lanterna Azzurra?
E’ un lavoro che richiede molta tenacia, forza e pazienza. Non nascondo che ci sono stati e ci saranno diversi momenti di sconforto in cui pensi “ma chi me l’ha fatto fare?”. In questo senso, anche il cambio di ruoli e figure all’interno delle istituzioni non agevola il nostro compito, anzi, a volte lo rende più faticoso. A livello politico poi ci si dovrebbe ancora accorgere in qualche caso, o impegnare di più in qualche altro, verso un sostegno a più livelli, anche economico: perché va riconosciuto almeno un contributo o un rimborso ai ragazzi che viaggiano in giro per l’Italia per spiegare quello che è successo, come sono stati lasciati soli quella sera dagli adulti che avrebbero invece dovuto vigilare su di loro. Ovviamente rimarrà sempre un impegno di volontariato, ma un giovane di venti anni – che potrebbe fare tante altre cose nel proprio tempo libero – non possiamo chiedere di sacrificarsi anche economicamente. Crediamo che la legge in discussione possa risolvere in questo senso alcune criticità, ma staremo a vedere.