SENIGALLIA- La continua riduzione dei fondi per i disabili. È questo il motivo per cui Elena, 21 anni e Maria Chiara, 26 hanno scritto al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, un lunga lettera in cui spiegano quanto è difficile riuscire ad essere indipendenti per chi, come le due sorelle senigalliesi, non deambula. «Ho scritto questa lettera per fare conoscere una realtà non ancora abbastanza nota – spiega Elena Paolini – Di cui molti, anche i media, si disinteressano. Combattiamo per la nostra libertà, perché ci venga garantita, è una questione di diritti umani».
Dopo avere frequentato le superiori a Senigallia, hanno vissuto e studiato a Londra, ed hanno anche un blog “Whitty Wheels, two sister in wheelchairs”. Due sorelle 2.0, perché nel settembre 2016, lo sfogo social di Elena nei confronti di Ryanair che non aveva imbarcato la sua carrozzina diventò virale, poi, lo scorso gennaio, le “Whitty Wheels”, lanciarono, sempre attraverso i social, una raccolta fondi per acquistare due carrozzine che gli permettessero di essere indipendenti. Da qualche mese sono tornate a vivere sulla spiaggia di velluto e ieri, hanno iniziato un’altra battaglia, quella per garantirsi la libertà. Questa volta lo hanno fatto con una lettera, ma anche con l’hashtag #liberidifare#. In poche ore tutto è diventato virale.
La lettera
«Caro Presidente del Consiglio e cari Ministri, Come butta? Siamo due sorelle, Elena (quella con la maglia bianca) e Maria Chiara (quella con la maglia gialla). Siamo disabili. Più precisamente, da sole, non riusciamo a fare quelle cose che la gente di solito fa se vuole restare viva. Quindi mangiamo, ci laviamo, puliamo casa e abbiamo una vita sociale innanzitutto grazie a delle assistenti personali. Le nostre assistenti agiscono al posto delle nostre gambe e braccia, e questo ci permette di “fare cose vedere gente” e in generale vivere come c***o ci pare. Le paghiamo grazie a due cose: i fondi ridicoli che lo Stato ci dà e gli enormi sforzi economici della nostra famiglia. Ma questi soldi finiranno presto, e allora dovremo limitare seriamente la nostra vita, e indipendenza, e felicità. La nostra libertà ha una data di scadenza. È molto semplice. Senza assistenti, non potremo più uscire liberamente. Magari perché non avremo qualcuno che guidi la nostra macchina per andare dagli amici. O magari non potremo fare la doccia quando vogliamo. O non avremo nessuno che cucini al posto nostro.
Farsi un toast, arrivare a uno scaffale alto, scostare le coperte e scendere dal letto, fare la doccia, mettere il reggiseno, caricare il cellulare, depilarsi. Sono funzioni basilari, eppure c’è una categoria di cittadini che per soddisfarle deve tirare fuori i soldi e pagare, oppure rinunciare. Sì, perché i contributi statali attuali, di entità diversa di regione in regione, sono niente più che un’elemosina, una presa per i fondelli neanche tanto sottile. “Non c’è budget”, e intanto una persona non esce di casa da un mese. “Hanno tagliato i fondi”, e intanto qualcun altro non si può lavare da una settimana. “Non ci sono i soldi”, e intanto un ragazzino non può uscire con gli amici. Eppure paghiamo le tasse, e ci aspettiamo che ci tornino. I fondi che ogni tanto vi vantate di stanziare per i disabili in realtà vengono destinati in gran parte alle case di cura, perché dietro alla case di cura – diciamolo ad alta voce – ci sono lucrosi interessi. È lì che va chi non ha parenti, partner o amici che possano lasciare il loro lavoro per assisterlo. Ma cosa succede in una struttura residenziale per disabili? Immaginate di non poter uscire, non poter vivere con chi vi pare, non poter compiere scelte e non avere libertà di movimento. Che tutto questo sia legale, solo perché sei disabile. Che tutto questo sia sconosciuto e sotterraneo, perché i reporter là dentro non ci arrivano. Siamo assolutamente pronte – e con noi tanti altri – a lottare fino a che sarà necessario contro una vita di costrizioni e di rinunce. Lo Stato ha il dovere di intervenire: proteggere le persone più vulnerabili e oppresse è proprio la sua funzione primaria.
Andate a ripassarvi la Costituzione la Carta dei diritti ONU del 2009, e le leggi specifiche. Poi applicatele. È imbarazzante, sembrate un bambino che non ascolta la maestra e poi si fa male o sporca dappertutto, e piange. Adesso però non frignate, potete ancora pulire questo gran casino. Abbiamo bisogno di assistenza ora, per vivere le nostre vite adesso. Al momento ce la caviamo alla meno peggio e perdiamo opportunità, facendo con quel che c’è e rimanendo schiacciati: molti di noi stanno in pratica morendo, sprecando la vita. Spesso non possiamo neanche fare una cosa normale come cercare lavoro, perché semplicemente non possiamo permetterci una persona che ci vesta tutte le mattine, e lo spiegate voi al mio capo che non dispongo pienamente del mio tempo? Diciamo chiara una cosa.
La tragedia non è il non essere autosufficienti: la tragedia è vivere in un paese che pensa di essere ancora nel Medioevo. Siamo qui per assicurarvi questo, semmai ce ne fosse bisogno: non siamo passivi oggetti di cura da rabbonire e lisciare con promesse di cartapesta o briciole di diritti. Abbiamo una lunga lista di ambizioni e aspirazioni, e nessuna intenzione di lasciar perdere. Siamo stanchi di sacrifici, fondi insufficienti e in ritardo, continue attese, contentini temporanei e rimbalzi di responsabilità. La clessidra della nostra sopportazione sta finendo, e siamo pronti a scendere in piazza se non vediamo risposte concrete. Vogliamo che venga dato a ciascuno secondo il proprio bisogno di assistenza. Sappiamo che quando volete vi muovete veloci, quindi aspettiamo azioni, e in fretta. Siamo qui, e non ce ne andiamo. Maria Chiara e Elena»