SENIGALLIA – Uguaglianza, giustizia sociale, libertà, democrazia. Per alcuni sono solo parole ormai cariche solo di senso retorico. Ma per chi combatte l’Isis o per chi sceglie di arruolarsi nelle file delle forze democratiche siriane a guida Ypg, sono tutto.
Sono ciò che hanno spinto a partire Lorenzo Orsetti, il fiorentino ucciso a Baghouz, ma sono anche ciò che avevano motivato Karim Franceschi, il combattente senigalliese che fu tra i primi europei nel 2015 ad affiancarsi alla causa siriana nella guerra contro l’Isis.
«Magari sono associati a motivazioni anche personali, ma tutti coloro che combattono in Siria come Orsetti, e di italiani ve ne sono al momento credo meno di una decina, sposano il progetto politico nato nella regione del Rojavà. Siamo partiti in momenti diversi e non ho avuto la fortuna di conoscerlo – spiega Franceschi – ma alla base c’erano le stesse motivazioni, la stessa voglia di fare qualcosa di concreto e di non stare a guardare. Io ho iniziato con una staffetta umanitaria, poi sono tornato come soldato e infine me ne sono andato da comandante di un battaglione internazionalista».
Questioni che il “combattente Marcello”, questo il nome di battaglia di Karim, ha spiegato nel secondo libro “Non morirò stanotte” (2018, ed. Rizzoli). «Da quando ho combattuto, la situazione è molto cambiata: gli jihadisti sono ora in numero decisamente inferiore rispetto alle forze siriane, mentre a Kobane era il contrario. Ma la lotta rimane ancora ed è dura. La popolazione – prosegue Karim Franceschi – viene usata come scudo dai combattenti del califfato nero: sono molto tenaci e preparati, ma hanno anche un supporto da parte di paesi come la Turchia.
Io combattevo in città, quartieri o edifici da liberare, ma la battaglia ora si è spostata in un campo profughi dove tentano di mescolarsi con i civili: probabilmente è questo il pericolo maggiore, come nel caso di Lorenzo. Il problema è che, nonostante abbiano perso il controllo di numerose città e siano rimasti in pochi a Baghouz, gli jihadisti si stanno riorganizzando: anzi, si pensa che la leadership del movimento jihadista globale sia altrove».
E questo significa una sola cosa, conclude Karim: che la guerra non è finita, che i pericoli sono ancora dietro l’angolo della tendopoli e soprattutto che l’Europa e le grandi potenze mondiali non possono fare finta di niente, né pensare di risolvere tutto con un bombardamento che uccide soprattutto civili inermi o con le parole di commozione quando accadono gli imprevisti. Come a Lorenzo Orsetti.