SENIGALLIA – Un atto d’intesa tra il Comune di Senigallia e la sezione cittadina della Fidapa è stato siglato nei giorni scorsi, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul divario salariale e sulla discriminazione di genere nel mondo del lavoro. Tematiche decisamente attuali che, anzi, si basano su un processo di cambiamento troppo lento, per cui le donne sono ancora relegate a mansioni con ridotte possibilità di carriera, a paghe inferiori rispetto ai colleghi uomini o persino a dover sacrificare il proprio lavoro per occuparsi della famiglia, dei figli o delle persone anziane. Situazioni note ma di cui si parla poco.
La sigla del documento è solo il primo passo dunque di una sinergia tra enti e associazioni. Una collaborazione che dovrà portare a impegnarsi con azioni di sensibilizzazione, incontri, campagne comunicative per offrire una maggior consapevolezza su queste tematiche. Presente all’incontro a Senigallia era Lucia Cherici, referente task force “Parità di genere nel lavoro” della Fidapa per il distretto centro. Ne abbiamo approfittato per intervistarla.
Quali forme di divario di genere nel mondo del lavoro esistono?
Innanzitutto c’è un divario salariale, che in Italia non è altissimo fortunatamente: oscilla tra il 10 e il 5-6%. Siamo tra i più bassi in Europa, ma altrove è decisamente più alto. Poi esiste una sorta di segregazione lavorativa verticale: sostanzialmente le donne non accedono ai ranghi più alti dei ruoli professionali. Oppure, al di là della contrattazione di base, non si vedono riconosciuta tutta una serie di benefit o vengono riconosciuti in misura inferiore rispetto agli uomini. Un altro motivo che genera questo divario è l’interruzione della carriera da parte delle donne perché fanno figli e se ne occupano loro, ma anche perché son sempre loro che si occupano dei genitori anziani. Infine c’è il fatto che hanno una vocazione a essere utilizzate nel mercato del lavoro su settori tipo l’insegnamento, i servizi, tutti ruoli che non consentono la percezione di stipendi altissimi.
Quali le cause di questo gap?
Innanzitutto c’è un sistema di welfare che non è compatibile con la realizzazione della donna nel mondo del lavoro e che non concretizza l’uguaglianza salariale. Sono quindi fattori esterni, come appunto la carenza di politiche sociali e a sostegno della famiglia, ma addirittura carenza di politiche sociali che coinvolgano anche gli uomini. C’è poi appunto la maggior frequenza con cui chiedono permessi per stare dietro alla famiglia.
Come vengono viste le donne nel lavoro?
C’è questa sorta di retroterra culturale che vota le donne all’insegnamento o a ruoli un pochino inferiori, ma non da un punto di vista di dignità del lavoro, ma proprio per quanto riguarda chiaramente lo stipendio, e le possibilità di far carriera. Di fatto è un blocco sociologico di natura culturale e sociale, anche se non credo che di per sé le donne vengano ghettizzate o allontanate di proposito.
C’è consapevolezza su questo tema?
La Fidapa è un movimento di opinione che cerca di diffondere la cultura dell’equità, della parità di genere, ci sono dei progressi, chiaramente non siamo più ai primi del Novecento quando c’era una cultura essenzialmente maschilista o le donne addirittura non lavoravano. Pian piano nel corso del Novecento si sono sempre più affermate, però con fatica e oggi ancora siamo a discutere dei problemi di differenza retributiva.
Che conseguenze subiamo per questo sotto utilizzo o addirittura mancato utilizzo della donna nel mondo del lavoro?
Dovremmo azzerare questo divario salariale ma non solo quello, innanzitutto per una questione di equità sociale. Nella nostra Costituzione, sappiamo tutti che l’articolo 3 sancisce l’uguaglianza al primo comma, il diritto di essere uguali, ma poi nel secondo comma dice che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, culturale, economico che impediscono la realizzazione della persona. E poi c’è una questione economica: azzerando il divario tra uomo e donna nel lavoro, si potrebbero avere incrementi di PIL notevoli. Alcuni studi rivelano per sempio che se c’è una riduzione di questo divario dell’1%, si avrebbe un incremento del PIL dello 0,01% a livello italiano. Raggiungere un annullamento, un azzeramento di questo divario porta a degli incrementi di PIL, perché chiaramente ci sarebbe un maggiore utilizzo della donna nell’ambito lavorativo.
Che strade percorrere quindi?
Sicuramente bisogna superare gli stereotipi: sono un retroterra culturale che rallenta questo processo. Però ci sono degli strumenti normativi importanti: le quote rosa sono un esempio di strumento utile a eliminare questi ostacoli di ordine culturale e così via, che limitano la donna nel suo tentativo di raggiungere la parità di genere. Cito infine la direttiva europea 970/2023 che obbliga i datori di lavoro a garantire una maggiore trasparenza circa le informazioni relative alle retribuzioni, fornendo ai dipendenti maggiore chiarezza e accessibilità sui criteri utilizzati per determinare gli stipendi e sulle politiche aziendali. Questo porterebbe certamente a una riduzione degli squilibri salariali tra uomini e donne.