Senigallia

Senigallia, l’addio a Barucca: «Ciao Leo, come faremo senza di te? Niente sarà come prima»

Da Simone Tranquilli un commosso ricordo dell'uomo buono e generoso, sempre disponibile scomparso oggi ad Ancona. Poeta e personaggio, Barucca ha rilanciato il dialetto di senigalliese agli stessi senigalliesi

Simone Quilly Tranquilli e Leonardo Leo Barucca
Simone Tranquilli e Leonardo Barucca

SENIGALLIA – «Ho conosciuto Leobarucca, tutto attaccato come lo scrivevo io, dodici anni fa in consiglio comunale dove si discuteva del piano Cervellati, fino a quel momento ignoravo chi fosse, non lo avevo mai visto. Me lo presentò Paolo Talucci e mi venne da ridere quando mi imbattei in questo strano personaggio un po’ storto e un po’ bohémien. In realtà da lì all’eternità le nostre esistenze si sono legate in maniera indissolubile come due edere rampicanti. Lui era un poeta vero, io un goliardico cantastorie».

Esordisce così Simone Tranquilli, alias “Quilly”, nel disegnare un profondo ricordo di Leonardo Barucca, scomparso proprio oggi, a 63 anni, all’ospedale Lancisi di Ancona.

«Abbiamo costruito attorno al nostro dialetto senigalliese tutto il costruibile. Poesie, testi teatrali, meme, doppiaggi, trasmissioni radiofoniche, canzoni, spettacoli dal vivo e azioni solidali. Abbiamo letto poesie nelle peggiori bettole, avuto l’onore di essere invitati nelle scuole per parlare ai ragazzi di questa nostra lingua dei padri a loro sconosciuta, fatto ridere e piangere sempre in dialetto centinaia di persone. Abbiamo traghettato il dialetto senigalliese oltre il duemila, forse nel suo ultimo porto, assieme al nostro fraterno amico e studioso di dialetto Andrea Scaloni. Le mie edicole e il retro della sua lavanderia sono state autentiche fucine di immagini e parole senigalliesi. Leo era la mia altra metà della mela così diverso nella similitudine così simile nella diversità».

«Leobarucca era un intellettuale raffinato e coltissimo, sempre immerso tra libri e appunti era un tuttologo timido e mai arrogante. Era orgoglioso del suo essere del Ciarnin, Barucca di madre e di padre, aveva nei geni un dna contadino ma amava il mare, i pescatori; aveva per buona parte della sua vita fatto l’albergatore all’hotel Stella, l’albergo della sua famiglia. Era un poeta come pochi in italiano e in dialetto, preferiva la poesia alla prosa. Sapeva scandagliare l’animo umano fin alle profondità più estreme. Lo faceva bene in italiano appunto, ma quando usava le poche e scarne parole del dialetto riusciva ad essere un gigante. “Tu Leo sai costruire lo shuttle con un cacciavite” gli dicevo».

Simone Quilly Tranquilli e Leonardo Leo Barucca in una lezione a scuola sul dialetto di Senigallia
Simone Quilly Tranquilli e Leonardo Leo Barucca in una lezione a scuola sul dialetto di Senigallia

«Era lontano da ogni retorica, buono e generoso, sempre disponibile ad ogni gesto di generosità, come quando iniziammo l’avventura di #amollomanonmollo. Mi diceva che io, più estroverso di lui, ero il frontman di Gent’d’S’nigaja, ma se io ero Lennon, lui era McCartney, Harrison e Starr insieme. Ultimamente ero andato a presentare il mio libro senza di lui un paio di volte, ma lo cercavo al mio fianco ed era come se non trovassi la mia coperta di Linus. Avevo mille idee e lui faceva una faccia da scettico ma poi ci si buttava anima e corpo con la sua Camel, gli occhiali anni settanta e la valigetta di plastica. In questo momento ributto indietro le lacrime perché lui, col suo sorriso sornione, mi avrebbe ripetuto la frase che mi diceva ogni volta quando una qualche sua poesia mi commuoveva: “Quilly, cazz’ piàgni”. Ho tanta rabbia ma una parte di me non può fare a meno di ridere riguardando quanto ci siamo divertiti in questi 12 anni tra Radio Monk, Gent’d’S’nigaja, sagre, feste, circoli e centri sociali. 
Ciao Leo. Niente sarà più come prima. Come faremo senza di te?».