SENIGALLIA – Venerdì 3 e sabato 4 settembre arriva finalmente sul palcoscenico del Teatro La Fenice di Senigallia “Massimo Lopez & Tullio Solenghi show”. Lo spettacolo, che vede riunita in scena la famosa coppia di comici, era stato programmato nella stagione teatrale 2019/20 ed era stato rinviato a causa della pandemia: oggi è attesissimo dal pubblico del teatro di via Cesare Battisti.
Lo show scritto e interpretato da Solenghi e Lopez, accompagnato dalle musiche live della Jazz Company diretta dal maestro Gabriele Comeglio, offrirà allo spettatore una comicità pura, educata, d’altri tempi, capace di mantenere lo spirito dello storico trio. Ecco l’intervista esclusiva per CentroPagina rilasciata da Massimo Lopez, gigante dello spettacolo italiano che ha scritto pagine indelebili come attore, comico, doppiatore, imitatore e conduttore televisivo.
Finalmente a Senigallia dopo tanti rinvii: cosa significa per un artista del suo calibro poter tornare finalmente sul palco dopo tanti mesi di stop dovuti alla pandemia?
«È una rinascita perché la vita fuori dal palco ci fa spegnere. Non parlo in linea generale: mi riferisco proprio a me e Tullio perché abbiamo un rapporto particolarissimo con il pubblico. Per noi è fondamentale avere questo scambio…perché di scambio si tratta: poter vedere la gente uscire felice dai teatri è una cosa indescrivibile. A fine spettacolo la gente quasi sempre ci aspetta e viene a salutarci: ognuno ha da raccontare qualcosa, un aneddoto, un ricordo riferito al Trio o al nostro percorso».
Dividerà il palco con un suo collega di lunghissima data con cui ha condiviso una porzione importante della sua vita: un pregio ed un difetto di Tullio Solenghi?
«Lo conosco oramai talmente bene che pregi e difetti non possono che farmi sorridere. E poi ci siamo abituati da sempre a confrontarci in maniera schietta, sincera, senza formalismi e barriere. Quindi, quando c’era qualcosa che non andava ci si parlava in maniera diretta. Un difetto? Oddio, una cosa che dico sempre anche a lui: all’inizio era troppo puntuale! Ed era un problema perché io ero sempre, sistematicamente, leggermente in ritardo. Nel tempo, tutto questo è cambiato: io sono diventato troppo precisino, lui ha fatto il percorso inverso».
Quanto manca al Trio Anna Marchesini? Quale è il ricordo professionale più bello che la lega a questa grandissima artista?
«Manca come un braccio: il nostro rapporto era di vera e profonda amicizia. Il Trio è nato sulle basi di quel rapporto che ancora prima di essere professionale era personale. Ci venne naturale dirci “Perché non lavorare insieme visto che ci si capisce al volo ed abbiamo la stessa lunghezza d’onda?”. Quando si perde “una sorella” come era Anna, rimane un vuoto grande. E poi c’era questo modo di lavorare: era lei quella più certosina, sempre alla ricerca della perfezione, che voleva sempre riscrivere i testi ed organizzare quello che di fatto era già organizzato. C’era sempre una grande disponibilità al confronto reciproco, una alchimia unica dove ci si aiutava moltissimo. Sul palco è ancora riconoscibile quel marchio di fabbrica tipico del Trio».
Lei è un’artista polivalente che ha scritto pagine importanti a teatro, in Tv, in radio, nel mondo del doppiaggio e ancora tanto altro. Cosa consiglierebbe ad un giovane che oggi vorrebbe ripercorrere i suoi passi?
«Il me giovane si rivolgeva ai grandi che hanno rappresentato molto: Gassman, Albertazzi, Sordi…personaggi importanti. Rispetto al passato forse per i giovani di oggi è più difficile, perché artisticamente ci sono meno punti di riferimento. Una volta c’era il cinema, la tv ed il teatro… oggi con i social, con internet è più difficile trovare un punto di riferimento, credo siano un po’ più disorientati. Comunque, mi capita spesso di fare dei workshop di recitazione e doppiaggio per i più giovani: vedo tanta passione, molta attenzione, soprattutto quando si racconta la propria esperienza. Anche perché non c’è una regola precisa: si tratta di intravedere un certo talento ed incoraggiare il ragazzo a tirarlo fuori. Ecco l’importanza di avere un modello che incoraggi e guidi».
Cosa devono attendersi gli spettatori che affolleranno il teatro?
«Risate, situazioni comiche create da noi, improvvisazione ma anche tanta musica grazie alla Jazz Company diretta dal maestro Gabriele Comeglio, che ho conosciuto durante un fortunato evento, quando ebbi l’opportunità di cantare ed incidere un disco con Mina. Tanti momenti insomma, non solo comici!».
Lei è la voce italiana di un’icona mondiale come Homer Simpson: che cosa significa per lei essere l’alter ego italiano di una figura così impattante su scala mondiale, raccogliendo il testimone di un altro grandissimo quale Tonino Accolla?
«Un onore anche se, soprattutto all’inizio, non è stato facile. Quando si raccoglie un’eredità così pesante si passa necessariamente per una fase di rifiuto da parte del pubblico. Dopo essere stati abituati per un ventennio ad un timbro vocale, trovarsene un altro non è una cosa che si metabolizza subito. La scelta di affidarmi questa responsabilità ed onore, è arrivata direttamente dalla produzione americana: oltretutto con Tonino eravamo grandi amici ed abbiamo iniziato la carriera praticamente insieme. Purtroppo quando manca un doppiatore anche i suoi personaggi vanno incontro ad una nuova fase. Il 10 agosto è mancato mio fratello (Ndr: Giorgio Lopez) storico doppiatore di Hoffman, De vito e tanti altri…anche i loro personaggi andranno incontro a questa trasformazione».