Senigallia

«Le Marche? Regione sessista dove il diritto di aborto è reso inapplicabile»

Protesta dell'Arvultùra con uno striscione affisso davanti l'ospedale di Senigallia nella giornata internazionale della donna. Iniziativa per rivendicare diritti in una società contraddistinta da molteplici disuguaglianze

Lo striscione davanti l’ospedale di Senigallia affisso dagli attivisti di Arvultùra per rivendicare una sanità pubblica in cui poter esercitare o veder riconosciuti i propri diritti
Lo striscione davanti l’ospedale di Senigallia affisso dagli attivisti di Arvultùra per rivendicare una sanità pubblica in cui poter esercitare o veder riconosciuti i propri diritti

SENIGALLIA – La sanità pubblica, dopo la pandemia, è divenuta ancora di più terreno di scontro politico. E gli attivisti dello spazio autogestito Arvultùra sono intervenuti affiggendo uno striscione davanti l’ospedale di via Cellini per rivendicare la necessità di una “sanità pubblica, accessibile e di qualità”, di “una medicina libera dal patriarcato”, in cui sia garantito il diritto all’aborto. La protesta è andata in scena proprio l’8 marzo, giornata internazionale della donna.

Una giornata in cui molti si limitano a regalare fiori quando sarebbe invece l’occasione per riflettere sulle condizioni che creano disparità tra i sessi e sulle limitazioni ai diritti delle donne. In ogni campo della società: dal lavoro alla salute, dai diritti sociali all’economia, all’istruzione, alla politica.

«L’8 marzo è solo transfemminista – intervengono da Arvultùra – è solo lotta per l’autodeterminazione di persone marginalizzate e discriminate dal sessismo all’interno di una società divisa tra oppressi e oppressori». Cessata la fase acuta della pandemia, i divari tra le persone sono aumentati: «aumento della violenza di genere, femminicidi in crescita, chiusura di consultori, attacchi alla 194, privatizzazione della sanità,  disoccupazione femminile altissima, narrazioni tossiche e sessiste sulla natalità, chiusura dei centri antiviolenza, omolesbotransfobia, bocciatura del ddl Zan, aumento della povertà e ghettizzazione della fragilità, crisi climatica. Infine, la guerra». 

Nella Regione Marche, secondo gli attivisti e le attiviste senigalliesi, si è avvertito ancora di più questo «attacco feroce contro l’autodeterminazione delle donne e delle persone della comunità LGBTQIA+, mostrando il più malevolo pensiero eterocispatriarcale dominante. Le istituzioni si sono irrigidite dentro una visione ancora più escludente e conservatrice. La scuola, la sanità, la politica nazionale e internazionale hanno instaurato una resistenza estrema contro il cambiamento, contro la rivoluzione dei femminismi».

Da qui la riflessione: dopo le promesse di apertura e dialogo non mantenute, «di fronte alla prova lampante, plateale, concreta dell’esistenza di una disuguaglianza trasversale e intersezionale», l’unica strada da percorrere è quella della  rivoluzione femminista. «La nostra regione è laboratorio di sessismo, luogo dove – come in epoca fascista – si ritorna a parlare di sostituzione etnica. Qui il diritto di aborto è reso inapplicabile dalle scelte di quella politica che sostiene che il calo delle nascite sia responsabilità dell’interruzione volontaria di gravidanza, ignorando ogni statistica dell’O.M.S. Assistiamo  alla privatizzazione della sanità a fronte di una crisi mondiale che suggeriva altri tipi di tutele delle cittadine e dei cittadini e tutt’altro sviluppo del diritto alla salute e a una vita dignitosa». 

«Scioperiamo – è l’appello conclusivo con invito alla manifestazione transfemminista dell’11 marzo in Ancona – per una sanità pubblica accessibile e libera da stereotipi sessisti, transfobici, grassofobici, abilisti e razzisti. Scioperiamo contro l’obiezione di coscienza che nella nostra regione tocca picchi del 100% e contro l’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori. Scioperiamo per un aborto libero, sicuro e gratuito. Per una medicina femminista e transfemminista che consideri e studi anche i corpi e le patologie delle donne e delle persone assegnate femmine alla nascita. Una medicina di prossimità, dialogante con i servizi territoriali, che investa risorse pubbliche sulla prevenzione, sulla formazione del personale, sulla contraccezione gratuita, sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, sui consultori e  che sia adempiente rispetto ai  più innovativi protocolli riguardante l’interruzione volontaria di gravidanza. Una medicina laica, autodeterminante per le donne, le libere soggettività e per la società del margine».