SENIGALLIA – «Non è giusto. A 15 anni devi avere una via d’uscita, dobbiamo aiutarti a trovarla. Tanti, troppi ragazzi sono immersi in un dolore che non conosciamo, non vedono l’orizzonte, né il futuro. Sono inghiottiti in un buco nero dove non esiste la parola speranza, dove si sentono soli, incompresi e invisibili. E noi adulti non abbiamo gli strumenti per affrontare un disagio che ha proporzioni enormi».
Sono le parole di Beatrice Brignone, docente dell’istituto Panzini di Senigallia, la scuola frequentata da Leonardo, il 15enne che ieri si è tolto la vita usando la pistola d’ordinanza del padre, vigile urbano. Parole con cui non si vuole spiegare il gesto, forse ancora difficile da comprendere senza elementi certi, ma con cui Brignone vuole mettere a fuoco la situazione che si sta vivendo un po’ ovunque.
Di questo disagio, che molti adulti non riescono a vedere e tantomeno a comprendere, resta solo il vuoto, comunicativo innanzitutto, tra generazioni diverse. «Abbiamo bisogno di aiuto. Ne hanno bisogno i ragazzi. Di supporto qualificato, universale, accessibile a tutti, garantito dallo Stato. Altrimenti non ne usciamo. Non posso che aggrapparmi alla speranza che la sua morte non sia vana, che spinga i ragazzi in difficoltà ad avere fiducia e ad aprirsi e noi adulti ad essere pronti a supportarli. E che ci obblighi tutti a guardarci dentro. Perché un ragazzo che si toglie la vita a 15 anni ci sta urlando che nessuno è esente da colpe, che abbiamo fallito tutti. E non deve più succedere».