SENIGALLIA – E’ una domanda che si fanno in molti. Natale è la festa dei tanti riti. Non solo dei riti religiosi con i quali i credenti celebrano la nascita di Gesù, il figlio di Dio che si è fatto uomo per liberare la nostra esistenza dalla morsa mortale del male, ma anche dei riti di chi non è propriamente interessato a fare festa, perché “ci è nato un salvatore”, ma che però prende spunto da questa ricorrenza liturgica per fare comunque festa. Tra i gesti che caratterizzano la festa del natale, quello dei regali risulta particolarmente apprezzato.
Fare, ricevere, un regalo è un gesto apprezzato per diverse ragioni. Una su tutte, perché segnala la buona qualità di una relazione, l’apprezzamento di una persona, il riconoscimento del valore che rappresenta per la nostra vita e di quello che noi rappresentiamo per la sua vita.
Fare un regalo è però anche un gesto impegnativo, “rischioso”. Impegnativo perché non è scontato che il nostro regalo sia apprezzato da chi lo riceve; “rischioso”, perché potrebbe essere sottovalutato o addirittura, rifiutato, equivocato nel suo significato.
Di quali regali abbiamo bisogno in questo tempo, dove, almeno nel nostro territorio, oltre agli strascichi del Covid e l’irrompere di una guerra che, se, ancorché distante, ci rattrista per il carico di morte, di distruzione e ci inquieta perché rende ancora più precaria la nostra esistenza, abbiamo subito una devastante alluvione e un terremoto che, anche se non ha prodotto danni come l’alluvione, ha però creato tanti disagi?
Penso che il regalo più “utile” per il natale di quest’anno sia quello di una speranza solida, forte. La speranza che finalmente, il nostro territorio sia messo in sicurezza nei suoi punti più fragili; la speranza di poter riabitare le nostre case, nuovamente arredate e restituire piena attività ai luoghi di lavoro; la speranza che quella generosa solidarietà da parte di molte persone, in gran parte giovani, che senza essere state ingaggiate, sono giunte da ogni parte d’Italia nei giorni tristi dell’alluvione, che ci ha sorpreso e consolato, diventi pratica quotidiana nella nostra vita.
Da ultimo, ma non meno importante, la speranza che la pace torni a essere il clima dei rapporti, non solo fra le nazioni, ma anche fra le persone.
Questi “volti” della speranza, se stanno a cuore a tutte le persone, credenti e non, sollecitano i credenti ad apprezzare il regalo grande ricevuto, quello del figlio di Dio che si presenta a noi come il datore e garante di una speranza che non è rimando a un futuro indeterminato, senza contorni, ma che dà una risposta non deludente alle tante nostre speranze, perché lui stesso rappresenta la speranza per la vita di tutti.
L’augurio che rivolgo a tutti è che possiamo trovare una speranza solida, affidabile, per la nostra vita e che questa speranza sia riconosciuta in quel bambino che quando è venuto al mondo è stato “avvolto in fasce” e posto “in una mangiatoia”, al quale è stato posto un nome rassicurante, Gesù, “colui che salva” la vita degli uomini, con le loro speranze. Un nome che il figlio di Dio ha onorato con la sua esistenza in mezzo a noi e che continua a onorare quando lo riconosciamo come regalo prezioso per la nostra vita e per questo gli assicuriamo la nostra fiducia, gli prestiamo ascolto.
Il vescovo Franco Manenti