SENIGALLIA – «“Andiamo a vedere”. A pronunciare queste parole sono alcuni pastori che, come scrive l’evangelista Luca «pernottando all’aperto vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8). I pastori avevano deciso di andare a vedere «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2.12). Di questo bambino aveva parlato loro un angelo, presentandolo come un “salvatore”.
Quei pastori erano le persone meno adatte per comprendere la portata di questa notizia, per tante ragioni. Quasi certamente non conoscevano i testi sacri che parlavano del Messia salvatore; il loro lavoro, poi, li costringeva ai margini della vita sociale e religiosa del popolo d’Israele; inoltre non godevano una buona fama per i tanti furti a loro imputati. Eppure, nonostante queste credenziali, nonostante il grande spavento che li assale di fronte all’angelo che li sorprende nella notte della campagna di Betlemme, nonostante quelle parole dell’angelo che dovevano risultare loro oscure, decidono di andare fino a Betlemme, di cercare quel bambino, nato in un luogo dove nessun figlio di uomini veniva partorito.
All’origine della loro decisione sta la fiducia che accordano all’angelo, alle sue parole; una fiducia che consentirà loro, non solo di trovare «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoria» (Lc 2,16), ma anche di comprendere il significato delle parole dell’angelo riguardo al bambino, tanto che lo raccontano a tutte le persone che incontrano e tanto da “lodare Dio”. Proprio loro che non avevano molta dimestichezza con Lui, se non addirittura imprecato contro di lui, nei momenti di maggior fatica del loro lavoro e di disagio della loro vita.
Dai pastori di Betlemme riceviamo l’invito ad “andare a vedere” anche noi quel bambino del quale, anche quest’anno ci palerà il Vangelo e che vediamo rappresentato nei nostri presepi. Anche noi, come i pastori di Betlemme saremo raggiunti dalle parole dell’angelo («Non temete; ecco vi annuncio una grande gioia,che sarà di tutto il popolo: oggi… è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore», Lc 2,10-11). Mentre “vegliamo” in questa notte che sembra interminabile di una pandemia che minaccia la nostra esistenza, compromette la nostra salute, avvelena anche le nostre relazioni e toglie vigore alle nostra speranze.
Non si tratta di andare a cercare un bambino sconosciuto (Gesù lo conosciamo da tempo; tanti di noi di lui ne hanno sentito parlare fin da quando eravamo piccoli); si tratta invece di ridare credito, ascolto, a questo bambino che un giorno è “nato per noi”, di consentire a questo bambino che tra i tanti titoli che gli sono stati attribuiti uno in particolare appare azzeccato – “Emmanuele”, Dio-con-noi- di occuparsi di noi, di permettere che la sua parola diventi sempre di più “lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino”(cfr. Sal 118,105), che l’offerta del suo amore non ci trovi distratti, indisponibili.
Questo è il mio augurio che rivolgo a tutti: alle persone che non hanno smesso di andare a vedere il bambino nato a Betlemme, di riconoscerlo nuovamente come il Salvatore della loro esistenza; alle persone che hanno smesso di andare da questo bambino o che non sono mai andate da lui, di riconoscere nelle parole dell’angelo ai pastori di Betlemme, una ragione persuasiva per riprende a cercarlo o per avviare la propria ricerca. Perché succeda anche di ritornare alle occupazioni della vita con la serenità dei pastori di Betlemme».