SENIGALLIA – Il senigalliese Giovanni Padovani, autore dell’efferato omicidio ai danni di Alessandra Matteuzzi rimane in cella: troppo grandi il rischio di recidiva e il pericolo potenziale per i familiari della vittima. Questa in sintesi la motivazione con cui il gip del tribunale di Bologna Andrea Salvatore Romito nella giornata del 26 agosto ha confermato la custodia cautelare del carcere per il 26enne arrestato martedì sera con l’accusa di aver ucciso l’ex compagna.
La donna, 56 anni, dalla ricostruzione delle autorità, sarebbe stata aggredita prima con un martello, poi con calci e pugni, infine colpita anche con una panchina. Davanti al giudice l’indagato, difeso d’ufficio dall’avvocato Enrico Buono, si è avvalso della facoltà di non rispondere. La sorella della vittima è rappresentata dall’avvocato Giampiero Barile, il nipote dall’avvocato Chiara Rinaldi.
Intano, come riportato dall’ANSA, emergono nuovi particolari della relazione e delle violenze che hanno preceduto il delitto. Dopo diverbi avuti a inizio giugno con il compagno «tutte le volte in cui io ho accondisceso alle richieste di Padovani è stato per paura di scatenare la sua rabbia». Lo diceva il 29 luglio Alessandra Matteuzzi, nella denuncia-querela presentata ai carabinieri per segnalare lo stalking di Giovanni Padovani, che poi la sera del 23 agosto l’ha uccisa a martellate dopo averla aspettata sotto casa, a Bologna. «Alla luce di tutte le occasioni in cui è riuscito ad accedere al condominio dove abito, ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa, o quando apro le finestre», aggiungeva la donna.
Alessandra Matteuzzi aveva denunciato di essere controllata costantemente sui social dal compagno. Oltre alle richieste continue di inviargli foto e video per dimostrare dove si trovava, la donna uccisa a Bologna da Giovanni Padovani aveva riferito ai carabinieri, nella querela sporta il 29 luglio, di aver scoperto, a febbraio, che le password dei suoi profili erano state tutte modificate. «Ho potuto constatare – raccontava – che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani». Inoltre «ho rilevato anche che il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono».
«Il nostro rapporto si basava sempre sull’invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell’auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata». Lo raccontava a fine luglio ai carabinieri Alessandra Matteuzzi, descrivendo la sua relazione con Giovanni Padovani, il 26enne che poi la sera del 23 agosto l’ha assassinata a Bologna. Nei confronti dell’uomo non erano state disposte misure cautelari.
Nella denuncia Matteuzzi aveva riferito dei controlli a cui era sottoposta, delle volte in cui lui si è presentato sotto casa. A parte una volta, in Sicilia, in cui l’aveva spintonata facendola cadere su un letto, non c’erano state mai aggressioni fisiche. Anche a metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi: tra il 14 e il 22, metteva a verbale la vittima «è stato più volte aggressivo nei miei confronti, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta».