SENIGALLIA – La paura del Coronavirus fa più danni del virus stesso. A volte sono danni legati a comportamenti al limite del panico, come la fuga dalle città del Nord affollando treni e andando a diffondere il Coronavirus nel resto d’Italia, altre volte sono semplici dicerie di paese. Ed è questo ciò che è successo sia a un medico dell’ospedale di Senigallia, sia a un imprenditore della spiaggia di velluto.
Il medico aveva partecipato a un corso a Piacenza, ad appena 18 km da Codogno, il centro del lodigiano dove si sono registrati i primi casi. Qui un collega con la febbre ha rischiato di infettare tutti i partecipanti ma solo dopo alcuni giorni è stato reso noto a chi vi aveva preso parte che quel collega era risultato positivo al Coronavirus. Da qui le misure di precauzione scattate con qualche giorno di ritardo, il che avrebbe potuto compromettere la salute di molti.
Per fortuna ciò non è successo e il medico si è barricato in alcune stanze della propria casa in un comune dell’entroterra di Senigallia per evitare di entrare in contatto persino con i propri familiari. Ma nel frattempo, oltre ai vari disagi connessi all’isolamento domiciliare, non si sono fatte mancare le dicerie di paese che hanno creato inutili allarmismi attorno al medico e alla sua famiglia: da un falso ricovero a un altrettanto falso aggravamento delle condizioni di salute e così via.
Stessa situazione che si è verificata a Senigallia ai danni di un’impresa locale, attorno alla quale hanno iniziato a circolare false voci circa l’infezione del titolare prima e di qualche dipendente poi. Voci infondate, più che altro fake news come si usa dire oggi, che però hanno causato anche danni economici all’attività e all’imprenditore che sta valutando azioni legali contro coloro che hanno diffuso tali falsità, smentite dall’imprenditore stesso.
Una situazione simile si era già verificata in un hotel del lungomare senigalliese, per un turista milanese che aveva difficoltà respiratorie. La moglie ha chiamato il 118 ma i passanti che hanno assistito alla scena – con gli operatori del 118 bardati di tutto punto con tute, visiere e mascherine sul volto – hanno subito diffuso video, foto e insinuato dubbi sulle condizioni di salute, diffondendo con essi anche la paura. Anche in quel caso sono in via di valutazione azioni legali.
Segno che le voci, a volte, rischiano di fare più danni del virus stesso. Segno che la percezione, in alcune zone, non è ancora così netta del pericolo che si corre lanciando messaggi sbagliati o addirittura falsi. Segno che c’è ancora tanto da conoscere e capire, sul Coronavirus, così come sul comportamento umano.
La ricetta per il momento è quella di non cadere nel panico, non creare allarmismi e di informarsi attraverso i canali ufficiali delle autorità competenti.