SENIGALLIA – Dopo la bagarre in commissione, arriva il chiarimento. Al centro della vicenda ci sono le affermazioni dell’assessore al welfare Carlo Girolametti che hanno suscitato alcune perplessità da parte degli altri consiglieri comunali: non potendo partecipare fisicamente alla riunione sul tema del contrasto alle dipendenze nei più giovani, l’assessore ha fatto leggere una sua lettera in cui chiede di uscire dalla logica del proibizionismo, poiché secondo lui non ha mai prodotto risultati utili.
Il punto è che nella seduta di giovedì scorso, 17 gennaio, si parlava di come aiutare i giovani a uscire dalla dipendenza da alcol, droghe e nuovi fenomeni come l’uso smodato di internet e dei social. All’ordine del giorno c’era infatti una mozione presentata da parte della maggioranza consiliare (Partito Democratico, Obiettivo Comune, Vivi Senigallia) in cui non si discuteva della liberalizzazione delle droghe leggere.
L’assessore alla cultura Simonetta Bucari (Pd) ha affermato che il collega di giunta «forse non aveva ben centrato il tema dell’ordine del giorno». Più dura il consigliere di Oc Vilma Profili che ha bollato come non pertinente il testo di Girolametti poiché nella mozione non si cita in alcun modo il proibizionismo. Sulla stessa linea Maurizio Perini (Progetto In Comune) e Luigi Rebecchini (Unione Civica) che hanno esortato l’assessore a chiarirsi perché il rischio della liberalizzazione è secondo loro di creare nuovi dipendenti da droghe e simili.
«Giovedì pomeriggio, non potendo essere presente in Commissione per motivi di salute, ho inviato un mio contributo scritto – ha dichiarato Girolametti – in cui evidenziavo che se non si esce da politiche pregiudizialmente proibizioniste, che al di là di ogni altra considerazione hanno fallito, non andremo oltre i soliti proclami. Il mio punto di vista è condiviso da più di 100 deputati di tutte le forze politiche della scorsa legislatura, dal presidente Obama e da tanti governatori di Stati dell’Unione, dal Canada, Uruguay ma soprattutto dalla nostra Direzione Nazionale Antimafia».
Iniziative di buona volontà come questa credo servano a poco se da un lato non si esce dalla logica del proibizionismo, e, dall’altro, non se si investono risorse importanti sul problema delle dipendenze patologiche. Citando dati e leggi di altri stati esteri, Girolametti ha posto l’accento sul fatto che ogni iniziativa potrà essere degnamente accompagnata da un processo culturale che parta dall’informazione e uno politico-giurisprudenziale che tenda alla depenalizzazione.
Strategie che, come scritto dalla Direzione Nazionale Antimafia (DNA) nella relazione annuale del 2017, potrebbero dare buoni risultati in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite.
Sulle stesse posizioni anche il SIULP, il maggiore sindacato di Polizia, e il presidente della Autorità Nazionale Anticorruzione.
Politiche che puntano così a ridurre i guadagni della criminalità organizzate e a riappropriare lo Stato di risorse che potrebbero essere utilizzate dai Comuni proprio per contrastare le dipendenze, ma senza crearne di nuove, come riportato da Girolametti con l’esempio del Colorado (Usa), né senza creare criminali che rischiano il carcere anche per modesti quantitativi (con tutte le casistiche possibili).