SENIGALLIA – Si chiama REI e indica il REddito di Inclusione. È “figlio” del SIA, altra sigla che significa Sostegno Inclusione Attiva e rappresenta la misura unica nazionale di contrasto alla povertà, istituita con D.Lgs. 147/2017: è un sostegno economico accompagnato da servizi personalizzati per l’inclusione sociale e lavorativa. A Senigallia si è discusso di Rei grazie a un convegno che si è tenuto lunedì 27 novembre alla biblioteca comunale Antonelliana in cui sono emersi dati interessanti sul decreto, nonché pro e contro di questa nuova disciplina che regola i contributi a chi si trova in difficoltà.
«Il convegno di lunedì serviva per fare chiarezza sulla nuova legge – spiega il dirigente ai servizi sociali dell’Ambito territoriale sociale n. 8 (ATS), Maurizio Mandolini – che regola l’intervento a favore dei cittadini in difficoltà, economica e lavorativa. Si tratta di un intervento sistemico che innanzitutto unifica le iniziative finora sporadiche e disomogenee messe in campo dai vari enti pubblici di tutta Italia; in secondo luogo permette una gestione integrata della situazione che vede al centro un nucleo familiare in condizioni di disagio».
La gestione integrata è presa in carico dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che definisce i livelli essenziali delle prestazioni; si articola fino al cittadino attraverso le Regioni che stabiliscono la propria programmazione, poi attraverso i Comuni e gli Ambiti territoriali sociali che gestiscono le politiche sociali. Questi, assieme all’Inps, sono gli attori che costituiscono la Rete della protezione e dell’inclusione sociale che elabora le linee guida attraverso un comitato e valuta analisi e proposte attraverso un “Osservatorio sulla povertà”, un gruppo di lavoro cioè aperto ai soggetti esterni come le parti sociali e gli organismi del terzo settore.
Tutto ciò poi si traduce in contributi economici e/o servizi personalizzati: «Prima di tutto – continua Mandolini – c’è una valutazione multidimensionale del bisogno del nucleo. Nell’ipotesi in cui la situazione di povertà sia solo connessa alla situazione lavorativa perché frutto di un licenziamento o di altre situazioni collegate al lavoro, la gestione sarà regolata attraverso un “patto di servizio” o dal programma di ricerca intensiva di lavoro. Chi non rispetta il patto decadrà dal beneficio».
Dunque i servizi sociali vedono un riordino e un’omogeneizzazione delle prestazioni a carattere socio-assistenziale che si attendevano da tempo: «oltre al contributo economico e quindi ai soldi erogati dall’Inps verso il cittadino in situazione di povertà mediante una carta elettronica denominata Carta Rei; oltre all’erogazione dei servizi pubblici e alle varie agevolazioni come prestazioni gratuite, esenzioni, sconti sulle tariffe o quant’altro, la nuova legge regola anche i fondi per i servizi sociali degli enti pubblici: Regioni, Comuni e Ats: questi ultimi divengono quindi le centrali di coordinamento della funzione sociale dei Comuni associati».
Come funziona la Carta Rei? Ci sono dei requisiti da rispettare sia al momento della presentazione della richiesta sia per tutta la durata dell’erogazione del beneficio. Il richiedente deve essere un cittadino dell’Unione o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria); deve essere residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda. Altro requisito per ottenere il contributo contro la povertà è che il nucleo familiare abbia almeno: un minorenne o una persona con disabilità o una donna in stato di gravidanza attestata da una struttura pubblica. C’è poi la questione reddituale ovviamente: l’Isee verrà conteggiato come base per poter beneficiare del contributo e non dovrà essere superiore a 6.000 €. Altri parametri sono visionabili qui per maggiori informazioni.
L’aspetto interessante e innovativo è che il fruitore viene responsabilizzato attraverso il patto di servizio che deve rispettare per non decadere dal beneficio: «innanzitutto – continua il dirigente dell’Ats 8 che gestisce i servizi sociali da Arcevia a Senigallia – deve dimostrare di cercare lavoro, deve frequentare i corsi di formazione ed essere in regola con i centri per l’impiego, deve rispettare gli impegni verso i figli a carico o la famiglia in generale. Questioni che dovrebbero responsabilizzare chi percepisce denaro pubblico».
Pro e contro dicevamo della misura unica Rei: se l’omogeneizzazione dei servizi sociali in tutta Italia e la minore discrezionalità delle strutture che si devono adeguare a piani e linee guida è un’ottima notizia, dall’altro lato c’è la questione basilare dei fondi stanziati per l’intervento. «I fondi statali stanziati per ora ammontano a 2 miliardi di euro – rivela Mandolini – ma sono suscettibili di aumenti in base alle necessità che verranno evidenziate dall’osservatorio sulla povertà. Sono in calo rispetto a prima? Si, ma sono gestiti meglio perché in modo integrato tra tutti i vari attori della rete. Vengono spesi meglio e, grazie ai controlli incrociati con le varie banche dati, si evita che qualcuno possa beneficiare di doppi interventi. Per esempio a Senigallia abbiamo circa 150 famiglie in condizioni di difficoltà: per poter aiutare tutti dobbiamo evitare che qualcuno possa percepire il contributo comunale, poi rivolgersi alla Caritas e ottenere altri benefici e infine godere della Naspi o di altri interventi statali. Tutto ciò non sarà più possibile perché verranno ottimizzate le risorse, erogate materialmente dall’Inps, calibrando i successivi interventi».
Rimane ancora sospesa però la questione della veridicità delle dichiarazioni: se in Italia i controlli permettono di smascherare falsi poveri o falsi invalidi, «nei paesi dove manca per esempio il catasto o dove sono in atto guerre è materialmente difficile, se non impossibile, verificare che il richiedente abbia beni immobili o possedimenti di vario genere nel suo paese. Dove si possono fare, è chiaro che i controlli vengono fatti, sia verso gli italiani che verso gli stranieri. C’è anche da dire che chi è in condizioni agiate nel proprio paese, difficilmente viene a Senigallia a vivere nel disagio economico-sociale o a far la fame».