SENIGALLIA – Un luogo di incontro e socializzazione, di recupero storico e di riqualificazione urbana. È quanto ha in mente l’amministrazione comunale senigalliese con la riprogettazione di piazza Simoncelli, sede del ghetto ebraico tra ‘600 e ‘800, al centro di alcune critiche. Tra queste anche quelle mosse da Italia Nostra che ritorna sulla questione dopo aver già espresso perplessità circa la carenza di parcheggi attuale e il rischio aggravemento che ci sarà in futuro.
«Quando si tratta di progettare importanti spazi pubblici, come una piazza, luogo di incontro e di socializzazione di una comunità, sarebbe quanto mai opportuno e doveroso un ampio confronto con i cittadini, pratica che sembra quanto mai aliena agli amministratori senigalliesi – spiega il presidente della sezione senigalliese di Italia Nostra, Virginio Villani -. Così anche nel caso di Piazza Simoncelli il progetto è calato dall’alto secondo una visione tutta soggettiva della città e dei criteri estetici e sulla base di valutazioni maturate all’interno di un ristretto entourage. Tanto più che l’inevitabile pedonalizzazione comporta modifiche, che andrebbero affrontate nel quadro di un chiaro e organico piano di parcheggi a servizio del centro storico, mentre si procede sempre a foglia di carciofo, mettendo i cittadini di fronte al fatto compiuto».
«Entrando nel merito del progetto, non si capisce bene a cosa si vuol fare riferimento quando si parla di recupero filologico dell’antico ghetto ebraico, visto che il termine filologico si usa per il recupero di un edificio o di un oggetto esistente e degradato, mentre qui il ghetto non c’è più, c’è solo uno spazio, ci sono dei selciati, ci sono degli edifici ed il tutto ha poco a che vedere con l’antico ghetto. Trattandosi ormai di uno spazio anonimo, o meglio di un vuoto ricavato dalle demolizioni, andrebbe re-inventato e progettato pragmaticamente insieme al contesto e alle funzioni che gli si vuole attribuire, evitando di connotarlo troppo marcatamente con disegni e volumi che vorrebbero richiamare il suo passato».
«Per ricordare l’antica destinazione a ghetto per gli Ebrei, sarebbe molto più opportuno apporre una stele o una lapide che testimoni e spieghi esplicitamente la vicenda storica, piuttosto che un disegno di non facile interpretazione. C’è poi l’incognita archeologica. Vorremmo ricordare infatti (e qui rivolgiamo un caldo appello all’intervento della Soprintendenza) che la realizzazione del progetto non può prescindere da un’indagine archeologica preventiva, dal momento che l’area ha rappresentato per secoli un punto nodale della città storica per la prossimità al porto e quindi potrebbe conservare preziose informazioni e una ricca stratificazione archeologica. Sarebbe necessario – conclude Villani – procedere con saggi puntuali e sistematici, per i quali l’Amministrazione Comunale deve dimostrare la stessa disponibilità che si è sempre preteso, giustamente, anche di recente, dagli imprenditori privati».