SENIGALLIA – «In ognuna delle nostre famiglie, ci sono stati familiari che da sempre ci hanno raccontato quanto è successo in quel periodo storico del novecento tra i più bui della nostra storia, molto prima dell’istituzione di giornate dedicate. Oggi, nel ricordare la Shoah, dobbiamo indignarci e condannare i comportamenti disumani, ma i comportamenti esecrabili dobbiamo combatterli anche oggi, nel mondo in cui viviamo. Non ci dobbiamo dimenticare che nel mondo ci sono molte persone vittime di persecuzioni che purtroppo ancora si verificano».
Sono le parole del sindaco di Senigallia, Massimo Olivetti, in occasione del Giorno della memoria, la ricorrenza che celebra il 27 gennaio di ogni anno, a partire dal 2000, una delle più grandi tragedie che l’umanità abbia mai visto. Un dramma vissuto anche da tante famiglie senigalliesi, deportate o uccise non solo per le origini ebraiche ma anche per le idee politiche e sociali che professavano.
Una presenza quella degli ebrei a Senigallia che risale sicuramente al 1400 ma che molte fonti riconducono persino all’epoca dei romani e che si è sviluppata negli anni fino a creare una comunità di un migliaio di persone, per lo più raccolte nel quasi dimenticato ghetto (ricomparso in occasione degli scavi) al posto dell’attuale piazza Simoncelli. E’ qui infatti che dovettero abitare a partire dalla metà del XVI secolo, e molto spesso in condizioni di sovraffollamento, le persone di origini o fede israelita.
A Senigallia il ghetto ebraico venne istituito agli inizi degli anni ’30 del 1600, a due passi da piazza Roma, chiuso da quattro cancelli aperti solo di giorno e in prossimità del fiume per il carico e lo scarico delle merci: erano soprattutto commercianti e, non potendo possedere beni immobili ma quindi con una certa liquidità, fungevano da prestatori di soldi che poi dovevano essere recuperati. Attività non ben viste dai signori dell’epoca, papato compreso. In passato, nel rinascimento vennero favoriti insediamenti anche di persone con pregiudizi pur di ripopolare la città dopo alcune guerre e saccheggi. Questo dato storico, unito alla presenza di una comunità ebraica, fece nascere il detto: “Senigallia: mezza ebrea, mezza canaja”.
Dopo un periodo di crescita demografica ed economica, alla presenza della comunità ebraica posero fine prima le incursioni di eserciti stranieri nel 1797, come riporta Ettore Coen, e poi la successiva demolizione del ghetto a partire dal 1848 fino ai primi del ‘900, lasciando un vuoto urbanistico là dove c’era un’eccessiva antropizzazione. Ora c’è un parcheggio in piazza Simoncelli e del ghetto rimane traccia solo tramite una lapide affissa a uno degli edifici di via dei Commercianti: uno degli ultimi progetti urbanistici della giunta Mangialardi prevedeva di ridestare la memoria tramite una valorizzazione urbanistica e storica della piazza, progetto di un certo impatto economico sulle casse comunali ora fermato dalla nuova compagine a guida Olivetti.