SENIGALLIA – È passato un mese dall’ultimo incontro con i vertici dell’azienda sanitaria territoriale Ast 2 di Ancona ma la situazione della sanità pubblica è rimasta la stessa e i cambiamenti richiesti dal Comitato a difesa dell’ospedale senigalliese ancora non si vedono. Su tutte, preoccupa ancora l’organizzazione del laboratorio analisi.
I referenti del comitato senigalliese da tempo lamentano una disparità di trattamento rispetto agi altri presidi ospedalieri, con i pazienti costretti a subire i disagi di una disorganizzazione ormai conclamata e legata alla carenza di personale. «La nostra proposta per accedere ad un esame in laboratorio è in tre punti» affermano spiegando come la prenotazione dovrebbe avvenire al numero verde del cup regionale o del cup/cassa all’ospedale, anche se sarebbe meglio senza prenotazione e con un numero fisso di accessi; l’esame da fare al laboratorio e poi il ritiro dei referti e pagamento della prestazione nuovamente al cup/cassa ospedale.
«Il cambiamento organizzativo richiesto è urgente e necessario – continuano – per la migliore accoglienza possibile dei pazienti che devono eseguire un esame ematico. Gli operatori, mai al completo da oltre 5 mesi (situazione inaccettabile di cui non si vede la soluzione), sono in difficoltà nell’accettazione e nel disbrigo delle pratiche. Adottando queste misure, non avendo più né cassa né consegna referti, potrebbero dedicarsi con calma all’accettazione dei pazienti, al back-office e all’invio degli esami ai pazienti dei territori, oggi molto sofferenti per la mole di lavoro arretrata. L’organizzazione proposta è quella dei servizi delle Ast2: perchè non a Senigallia?»
Nasce da qui l’appello – l’ennesimo – al dr. E.Rocchi e alla dr.ssa Storti perché possano «accordarsi e decidere in fretta per i pazienti e per il buon andamento del servizio»; in seconda battuta perché mantengano la dotazione organica oppure ridistribuiscano le mansioni e accettino «un veloce, adeguato e definitivo confronto su questo problema che si trascina da troppo tempo e che ha negli operatori e nei cittadini le vere vittime».