«Io degli anni della malattia ricordo poco, ma i miei genitori mi hanno detto che ci sono state almeno tre volte in cui ho rischiato di non farcela». Filippo, 17 anni, ora è in Spagna: sta bene, si allena e gareggia, ma non tutti hanno la fortuna di poter raccontare il calvario che ha attraversato da bambino.
Un calvario che passa da Ancona e da Roma: Ancona perché Filippo Zazzarini (classe 2006), campione in erba di pattinaggio, vive a Senigallia. Roma perché è al Bambino Gesù che Filo rinasce. Una rinascita che – nemmeno a farlo apposta – è anche nel nome della sua squadra, la Rinascita Ravenna, con cui Filippo pattina.
Ma andiamo con ordine: «Tutto inizia quando avevo 4 anni – spiega lui – Ricevo dei pattini da Babbo Natale e scopro di amare questo sport, il pattinaggio». Che poi, a dirla tutta, forse sarebbe stato strano il contrario, dato che proviene da una famiglia di pattinatori e i genitori sono i suoi preparatori atletici.
«Scopro il pattinaggio sul ghiaccio e i miei fanno un sacco di sacrifici per farmi allenare in Trentino. Praticamente, eravamo sempre in viaggio, potremmo dire che sono cresciuto in macchina. A dicembre 2017 – continua – partiamo da Senigallia diretti a Collalbo (in provincia di Bolzano, ndr) per una delle tante gare. Al termine, non mi sentivo bene, mamma mi misura la temperatura e effettivamente avevo la febbre. Abbiamo pensato a un malanno di stagione, nulla di più».
E invece il ragazzo – che a soli 11 anni aveva già vinto la Trentino Cup – iniziava a sentirsi sempre peggio: «Il pediatra mi prescrive tachipirina e antibiotici, ma non fanno effetto. Faccio un prelievo del sangue per capire se fosse polmonite o placche. Il risultato? Scopriamo un’infezione. Mi trasferiscono d’urgenza alle malattie infettive del Salesi, ad Ancona, dove mi ricoverano. Il 29 dicembre passo all’oncoematologia pediatrica per iniziare cicli di chemio ad elevati dosaggi».
Inizia la corsa contro il tempo, altroché la velocità delle rotelle dei pattini. La diagnosi è di quelle che non lascia scampo: «Linfoma non Hodgkin a grandi cellule alk-positivo. I medici mi danno pochi giorni di vita. Era dicembre 2017 e ai miei genitori dicono di non sapere se sarei arrivato all’Epifania».
«Di quegli istanti – fa Filippo – ricordo poco, i primi tempi avevo le allucinazioni, a volte ero incosciente, ma non volevo perdere il muscolo sulle gambe. Così, mi feci portare la bici in reparto. Pedalavo 5 minuti al giorno, tutto intubato. I 2 anni di medie li ho persi, il terzo c’era il covid. Giravo sempre con la mascherina».
Se ho pensato di non farcela? Mah – risponde lui – Non ho mai pensato di non sopravvivere, perché ero piccolo e non avevo consapevolezza della malattia. Però, ci sono state due o tre volte in cui ho rischiato di morire. Con 8 cicli di chemio e 3 di radioterapia, mamma adesso mi dice che aveva paura che non fossi arrivato al trapianto. Ma io, nella vita come nello sport, stringo i denti e vado avanti».
Paola tira un sospiro di sollievo quando a giugno 2018 la malattia finisce di infierire su quel corpicino da sportivo: «Sì, però il tumore era ancora nel sangue – evidenzia la donna – e nell’organismo di mio figlio sarebbe potuta tornare in qualsiasi momento. Così, ci consigliano una terapia sperimentale, infusioni di immunoglobuline ogni 21 giorni».
Filippo racconta che «ad agosto non avevo più paura degli aghi e mamma chiede di togliermi il catetere per farmi passare un compleanno decente. Intanto, si iniziava a parlare di trapianto di midollo». Ma la piccola Camilla, sorella di Filippo, è incompatibile al 100%. L’unica ad essere compatibile (seppure al 50%) è mamma Paola.
«Non è stato solo il trapianto di midollo a salvarmi, ma anche la vicinanza dei miei genitori». I controlli ogni 48 ore segnano il tempo che lo separa dalla nuova vita, quella in cui avrebbe potuto solcare di nuovo la pista.
E quella nuova vita arriva eccome: «Quando mi hanno detto che Filippo era guarito, sono crollata, ho avuto un mancamento. Eravamo a Roma, al Bambino Gesù, e mi hanno dovuto ricoverare al Santo Spirito», dice Paola.
Al Bambino Gesù di Roma Filippo rinasce, ma anche qui la signora Balducci se l’è vista brutta: «Entravamo e uscivamo dagli ospedali, è questo il calvario comune a tutti i malati di tumore. Io sono tornata di nuovo nel reparto di oncoematologia pediatrica dopo 20 anni. Prima, facevo il clown per i piccoli pazienti e ora tra loro c’era mio figlio. Al Bambino Gesù ho visto cose tremende. Sai, a volte vorresti morire per non sentire il dolore che ti toglie il fiato».
Il 17enne, in quegli anni, ha salutato per sempre tanti compagni di stanza che condividevano lo stesso destino con lui e che purtroppo non ce l’hanno fatta: «Quando succedono cose del genere, è tutta la famiglia ad ammalarsi. Ma l’importante è restare uniti». E ancora: «Sa perché riesco a raccontare questa storia? Per fare luce sul calvario che passano i malati di tumore e raccontare la verità sulla malattia. Bisogna parlarne con tranquillità, senza paura. Se ce l’ha fatta mio figlio, allora in tanti possono prendere spunto per lottare meglio contro un male che non può sempre vincere».
Il sogno del 17enne, adesso, è aggiudicarsi un campionato italiano e arrivare alle Olimpiadi. Domenica scorsa, Zazzarini è salito sul gradino più alto del podio della maratona di Madrid (sesto in classifica generale col team In-gravity). La sua preparatrice atletica (la madre, che ringrazia sia il team In-Gravity sia l’associazione Grazie Gesù) si augura di «trovare sponsor, perché – dice – non esiste solo il calcio».