Senigallia

Take away: parte da Senigallia la proposta dei ristoratori. Dubbi in Regione

Gli esercenti della spiaggia di velluto chiedono a Ceriscioli che venga autorizzato il ritiro del cibo ordinato direttamente nel locale, senza consegnarlo a domicilio. I dubbi della Confcommercio: «Va contro le disposizioni nazionali»

cibo d'asporto, take away

SENIGALLIA – I ristoratori, come tante altre attività chiuse o ferme in questo momento per l’emergenza coronavirus, vogliono poter lavorare. Permettendo – oltre alle consegne a domicilio – agli stessi clienti di venire a ritirare i pasti ordinati: in due parole, take away. Una proposta è stata presentata al presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, anche se sul tavolo – ancora lontano dall’essere apparecchiato – ci sono varie problematiche. Sanitarie, normative, economiche.

La situazione dei ristoranti – ma anche di bar, pub e locali simili – è grave, costretti a chiudere per l’emergenza coronavirus: alcuni l’hanno fatto rapidamente, avendo compreso la portata della crisi sanitaria che solo a quasi due mesi dall’inizio sta cominciando a mostrare una diminuzione nei nuovi contagi; altri hanno invece aspettato che mancasse la clientela per decidersi ad abbassare la serranda. Il problema è che, entro breve, saranno parecchie le attività che non potranno rialzarla. Se non permettono attività come il take away.

Cosa fare allora? C’è chi si è riorganizzato con le consegne a domicilio; dopo le prime settimane in cui le attività si contavano sulle dita di una sola mano, oggi la situazione è evoluta in una serie di locali che effettuano il servizio di portare l’ordinazione direttamente a casa del cliente. Un modo che consente innanzitutto di limitare i danni e far fronte alle spese: bollette, affitti, manutenzione degli impianti, tasse sono ben lontane dal fermarsi o dall’azzerarsi; in secondo luogo è anche un investimento in termini di marketing: far vedere che il locale è attivo, che continua a lavorare nonostante le difficoltà è anche un segnale per la clientela perché non si allontani.

Ma non basta. Questo servizio non ripaga del costo totale sostenuto dagli imprenditori per realizzare i pasti e portarli a casa dei clienti. Ecco che proprio da Senigallia è arrivata alla Regione la proposta di vari esercenti del centro storico e del lungomare – con “a capo” Michele Ercole, titolare di alcuni locali sulla spiaggia di velluto – per far autorizzare il take away in città. Ovviamente tenendo sempre bene a mente le regole per evitare il diffondersi del contagio da coronavirus. Secondo i ristoratori, il ritiro direttamente nell’attività del pasto ordinato telefonicamente o via web permetterebbe di limitare anche i costi e i tempi della consegna a domicilio. Se si può andare a fare spesa, perché non andare anche a comprare del cibo pronto, magari senza nemmeno scendere dall’auto? 

Nonostante nella proposta ci fosse carta bianca perché la Regione determinasse le modalità, non si è sbloccato nulla. La necessità di riprendere subito a lavorare è impellente per le imprese che rischiano di non riaprire. E questo in attesa di valutare qualsiasi altra opzione futura circa una graduale riapertura che tenga conto di distanze tra i vari clienti o pannelli tra un tavolo e l’altro. Ipotesi che dovrebbero essere valutate adeguatamente capendo chiaramente sia l’investimento da sostenere, sia l’eventuale afflusso futuro di clientela. Essendo ritenute attività non fondamentali per la sopravvivenza delle persone, ristoranti e affini potrebbero essere gli ultimi a riaprire una volta terminata l’emergenza coronavirus.

Parere dubbio dalle associazioni di categoria: «Il take away – spiega il senigalliese Giacomo Bramucci, presidente Confcommercio Marche centrali – è un discorso complicato perché rischia di andare contro le disposizioni generali imposte dal governo e le Marche non possono andarvi contro allentando la presa. Al limite potrebbero essere più severe e prevedere modalità ancora più restrittive per le attività». Certo è che bisogna ragionarci su «senza fare polemiche, perché in questo momento non servono nonostante a volte sia difficile capire la ratio tra una disposizione e l’altra», apparentemente divergenti. «La guerra alle istituzioni è dannosa per tutti – conclude Bramucci, giustificando qualche scivolone o imprecisione che può accadere – dobbiamo ricordarci tutti che l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la vita delle persone, non metterle in pericolo».