JESI – «Sono le emozioni, quelle che ti spingono ad andare oltre. Quando sono in pedana, mi dà i brividi pensare che le persone che mi stanno guardando si aspettano da me qualcosa». Parola di Gianmarco Tamberi, ospite all’Hotel Federico II dell’incontro organizzato dal Gruppo sportivo Pieralisi sul tema “Il talento e l’impegno”.
Davanti alle domande di giovani e giovanissime pallavoliste rossobù “Gimbo” Tamberi, Campione del mondo di salto in alto e detentore del record italiano outdoor e indoor, ha raccontato sé stesso con grande spontaneità e simpatia. Senza nascondersi, dandosi più volte del “matto”, spiegando il suo rapporto con l’atletica e il salto in alto, il suo amore per la pallacanestro, il suo sogno olimpico per Tokyo 2020, la vicenda umana e sportiva di chi nel 2016, a poche settimane dai Giochi di Rio ai quali si sarebbe presentato da iridato e grandissimo favorito per l’oro, si è visto sottrarre il traguardo da un brutto infortunio. A “stuzzicarlo”, Luciano Sabbatini, allenatore della Pieralisi Pan di Jesi e suo mental coach dal 2014.
«Quante pacche sulle spalle ho ricevuto in questi due anni! Non lo nascondo, una grande mano me l’ha data proprio il “successo” mediatico della mia storia. Sono stato fortunato-ha spiegato Tamberi- a entrare nel cuore di tante persone che hanno capito che quell’infortunio mi aveva tolto il sogno più importante della mia vita. Quanti sconosciuti non lo sanno ma con le loro pacche, le loro parole, i loro “occhi dolci” quando ne avevo bisogno, mi hanno dato di volta in volta la carica per andare avanti nei giorni successivi». Ma il sogno continua. «Il sogno deve essere qualcosa di immenso, che ti fa ridere di gusto se ci pensi. Per me sono le Olimpiadi a Tokyo nel 2020. L’obiettivo è qualcosa di più vicino, che ti poni di volta in volta per guardare lontano al sogno. Ad esempio gli Europei a Glasgow fra tre mesi».
“Gimbo” si è raccontato fra risate e lacrime. «Dopo l’infortunio di Monaco sono stato una settimana sul letto a piangere. Poi mi sono chiesto se sono uno che davanti a una sfida si arrende o la affronta. Ci ho messo altri quindici giorni e altre lacrime a rispondermi, poi ho scritto sul gesso “Road to Tokyo 2020”. E ho pianto ancora alla prima gara dopo l’infortunio, ero completamente in lacrime prima di saltare 2,08 e mi chiedevo come avrei fatto a gareggiare piangendo. Certo che ho avuto paura, è stata una componente importantissima del mio recupero. Sapevo che sarebbe venuta fuori. Ogni momento l’ho vissuto come il più difficile».
A Monaco, Tamberi si era infortunato a poche settimane da Rio 2016 tentando di saltare, dopo aver già vinto la gara, la misura di 2,41 metri. «Tanti mi hanno chiesto perché ma fa parte del mio modo di andare sempre al massimo, di non risparmiarmi. Io quelle Olimpiadi volevo vincerle. E se a Rio fosse servito andare sopra i 2,40, allora non doveva essere un peso per me l’idea di non aver saltato quella misura e non doveva assolutamente stuzzicarmi l’idea di accontentarmi. Mentalmente dovevo arrivarci».
Nell’agosto del 2017 Tamberi ha ripreso a saltare partecipando ai campionati del mondo di atletica leggera a Londra e quest’anno, agli Europei di Berlino, ha raggiunto il quarto posto con la misura di 2,28 m per poi concludere la stagione in crescendo al meeting internazionale di Eberstadt in Germania, dove ha saltato la misura di 2,33 m che ha sancito il suo ritorno tra i grandi. «Quando sono tornato a saltare per la prima volta i 2,30, per tre secondi ho visto nero- dice Tamberi- e mi sono sentito addosso tutto il peso, in positivo, di quello che avevo fatto per arrivare di nuovo lì».
Tamberi dai 4 ai 17 anni ha giocato a pallacanestro. «Sono arrivato tardi all’atletica, anche se mio padre era stato finalista nel salto in alto alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, unica cosa in cui è ancora più bravo di me! Ho provato questo sport ai Giochi della Gioventù e iniziato a ottenere risultati, vincendo gli Italiani mentre ancora giocavo a basket. Per sei mesi ho avuto il via vai di gente che mi diceva che ero un pazzo a non puntare sul salto in alto ma io pensavo che sarebbe stato noioso. E lo è! Nel senso che è uno sport che è più un lavoro che un divertimento. Insomma, il sabato pomeriggio non so quanti dicano per divertirsi “andiamo a fare una gara di salto in alto”. Ma certo mi ha dato tante soddisfazioni. Il basket continua a essere l’amore della mia vita. Ho casa e campo di allenamento piene di canestri e maglie di giocatori Nba, giocare al campetto mi rilassa come niente altro. Lo sport di squadra, condividere le medesime emozioni con un gruppo, è bellissimo».
Inevitabile la spiegazione della “mezza barba” (mezza rasata e mezza no) di Tamberi quando è in gara. «Era il 2011, arrivavo agli Italiani da grande favorito, tanta, troppa tensione addosso. Ho pensato “devo fare una cavolata” per alleggerirla. Ecco che mi sono rasato mezza barba soltanto. Il guaio è che poi in gara ho migliorato di 11 centimetri il mio primato personale, da 2,14 a 2,25! Una cosa enorme. Impossibile tornare indietro. Avessi fatto la lavatrice, ora farei la lavatrice prima di ogni gara. Invece devo lasciarmi mezza barba soltanto».