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Da Mendoza a Matelica, Carolina Sanchez col basket nel cuore: 48 anni e ancora al top

L'ala della Thunder è un'highlander della pallacanestro italiana: «Natale e Capodanno a casa, perché origini e famiglia sono importanti». Ci ha raccontato la sua storia

Erica Carolina Sanchez in campo, foto Thunder Matelica/Marco Teatini

ANCONA – Da Mendoza, la sua città d’origine in Argentina, all’Italia e a Matelica, passando per la Spagna, il Portogallo e altri Paesi del Sud America. Sempre con una sola e unica passione che vive da vera professionista da oltre trent’anni, il basket: lei è Erica Carolina Sanchez, Carolina per tutti, gli amici, i ragazzini che allena a Fabriano, la Thunder Matelica dove gioca come ala grande, e per ogni appassionato della palla a spicchi che in trent’anni di attività l’ha ammirata sul parquet, come quando nel 2000 ha vinto lo scudetto con Priolo. Compirà 48 anni il 5 gennaio prossimo, e dopo l’ultima partita di campionato prima delle festività, il 24 dicembre è volata a casa, in Argentina, dalla sua famiglia e dal suo compagno, Ernesto Maranesi, ex giocatore di pallacanestro anche lui, argentino che fa il saldatore a Matelica e che l’ha preceduta in patria per le vacanze.

«Sono di Mendoza, una città quasi al confine con il Cile – racconta Carolina –. Ho cominciato a giocare a sette anni, seguendo mio fratello più grande. Mio padre era un calciatore e ci ha condotti tutti verso lo sport, ma non ci diceva cosa fare. Così un’estate mio fratello, che aveva quattro anni più di me, è stato scelto da una squadra di pallacanestro e io ho cominciato a seguirlo e a giocare con i maschi, finché mia madre, vista la mia passione, dopo un anno mi ha trovato una squadra femminile».

Carolina, da quando in Italia?
«A quattordici anni è arrivata la possibilità di fare un provino a Palermo e da lì il basket è diventata la mia professione. Ho finito il settore giovanile a Palermo e da allora gioco come italiana anche se ho il passaporto spagnolo e adesso anche la residenza italiana. Sono stata cinque anni a Palermo, e dopo una pausa in Argentina, di nuovo in Europa: Italia, Spagna, Portogallo, ho giocato anche in Arabia Saudita e ogni volta che finivo il campionato poi tornavo in Argentina, perché lì la stagione è al contrario, e ho giocato anche in Ecuador, Uruguay e Cile».

Erica e Carolina: da dove vengono questi due nomi?
«Erica lo scelse la mia madrina, Carolina la mia mamma che si chiama Susana Carolina, Carolina era anche la mia bisnonna, un nome di famiglia».

Ma chi era più forte, lei o suo fratello?
«Veramente c’era anche mio fratello più piccolo, che giocava e che è morto due anni fa. Tutti e tre abbiamo sempre giocato a pallacanestro, ma il più bravo è sempre stato il più grande, Diego, che ha giocato anche in nazionale. E’ nato con il talento, giocava benissimo anche a calcio. Però a differenza di me, lui non se l’è sentita di lasciare l’Argentina per venire in Italia, è sempre stato molto attaccato alla famiglia e non ha voluto fare questo passo. Adesso ha 50 anni e fino a 45 ha sempre giocato».

Un altro highlander, proprio come lei. Cosa ricorda con maggior piacere di quello scudetto vinto a Priolo 23 anni fa?
«Sono passati tanti anni, una delle esperienze più belle della mia vita, era il primo anno in cui ero tornata in Italia e quel primo anno a Priolo è stata un’esperienza unica. In quel periodo, a differenza di adesso, le squadre erano molto forti e lo erano anche le straniere, era il campionato migliore d’Europa, tutte venivano a giocare in Italia e c’era tanto talento. Per noi fu una grande fortuna vincere quello scudetto, in finale contro Schio che aveva già vinto tanto e vincerlo a casa loro fu bellissimo, un’esperienza unica».

Poi ha girato l’Italia.
«Sono sempre stata tra l’Italia e altri Paesi europei, almeno dieci anni in Spagna, in A2. E quando avevo in mente di smettere, sono venuta ad Alghero, pensavo di fare l’ultimo anno, ed era dieci anni fa. E invece ancora sono qua che gioco».

Ad Alghero, poi Costa Masnaga, Ariano Irpino, Campobasso, Roseto e adesso Matelica: come si trova nel capoluogo del Verdicchio?
«Benissimo, questo è un paese con una grande società e un bel gruppo, mi sento come a casa, siamo riuscite a costruire una bella squadra, unita, con la società sempre vicina. A Matelica vivo con il mio compagno, e sono molto tranquilla, felice di stare qui e di fare quello che stiamo riuscendo a fare».

Quali gli obiettivi imminenti?
«In campionato speriamo di restare in una posizione utile per fare i playoff. Personalmente vivo alla giornata, alla mia età, devo essere felice di quello che faccio ogni giorno per riuscire a fare sempre qualcosa per la squadra e stare bene fisicamente».

A Fabriano, allena anche i ragazzi under 14: che esperienza è quella di allenatrice?
«Sto aiutando anche la società femminile, ma Fabriano ha una squadra nuova e aveva bisogno di allenatori e ho fatto questa scelta, mi trovo benissimo, ma allenavo anche in precedenza».

A quasi 48 anni come gestisce la sua vita di professionista dello sport con tutto il resto?
«Come sempre, sto facendo quello che mi piace e lo faccio con entusiasmo, fare l’allenatrice mi piace come giocare, riesco a gestire tutto con l’aiuto dell’allenatore e ho il tempo di fare quello che mi piace».

Quante volte ha pensato di smettere?
«Me lo chiedono spesso. Ogni anno dico che sarà l’ultimo. Giocherò finché il fisico mi dirà basta, fin quando non riuscirò più a muovermi in campo a livello delle giocatrici che ho accanto o se non avrò la voglia di allenarmi. Ma so che sto andando avanti come allenatrice e so che il cambio non sarà brusco, resterò nell’ambiente che mi piace».

Come e dove passerà il Natale e le festività?
«Il 24 partenza per l’Argentina, il mio compagno è già tornato là prima, a casa a passare il Natale e il Capodanno, poi torno a Matelica, perché il 6 gennaio si gioca».

E dove sarà a spegnere le sue 48 candeline, a gennaio?
«Lo passerò allenandomi: il 5 gennaio è il compleanno e il 6 gioco, tra l’altro nel derby con Ancona, dunque con la squadra a festeggiare in palestra pensando alla partita».

Quanto le manca l’Argentina?
«Sempre tanto, perché lì c’è tutta la mia famiglia. La terra di origine non si dimentica mai, la situazione economica è difficile, anche per questo con il mio compagno, Ernesto Maranesi che giocava a pallacanestro in Argentina e che a Matelica fa il saldatore, abbiamo deciso di stare in Italia. Ma non dimentichiamo mai da dove veniamo».

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