JESI – «I mesi scorsi hanno messo tutti a dura prova. Ma stiamo ritrovando l’entusiasmo. E la voglia di lottare e sfidare le altre squadre in campo indossando questa maglia». Parola di Giorgio Trillini, classe 2001, giovane punto fermo del Rugby Jesi ’70.
«Centro o ala- dice Trillini- gioco dove serve di più all’allenatore. Mi metto a disposizione, abbiamo finalmente potuto riassaporare il contatto e la partita e credo che l’impressione sia stata positiva. Nell’amichevole di San Benedetto ci siamo rimessi alla prova dopo tempo e i segnali sono stati buoni. Dal punto di vista fisico, anche nel periodo delle restrizioni, abbiamo sempre continuato a lavorare, quindi abbiamo mantenuto un buon livello. Un po’ di fiato, quello che ti dà solo l’abitudine della partita, magari ci è mancato ma credo sia normale».
È una Seniores ancora più giovane e “verde” quella che sta uscendo dallo stop dettato dalla pandemia. «Abbiamo con noi tanti ragazzi della Under 18, che sono già saliti o che prevedono di salire in pianta stabile in prima squadra- dice Trillini- hanno volontà e fame, sono fiducioso quanto alla squadra che ne verrà fuori: più giovane ma con la stessa grinta e forse più veloce».
Ciò che conta è far riprendere quota alle motivazioni. «Non sono stati facili i mesi passati. Nel nostro sport il contatto è tutto, continuare ad allenarsi senza poter placcare è stato inevitabilmente complicato e pesante, un poco di entusiasmo ha finito per toglierlo. Ma ora che abbiamo ricominciato, stanno ricrescendo voglia e motivazione. Dobbiamo tornare in campo ben decisi a difendere questa maglia e a confrontarci con gli avversari. In questo senso San Benedetto è stata importante».
Sarà comunque un’estate di lavoro. «Stiamo ancora seguendo un programma di due allenamenti alla settimana, uno in campo e l’altro in palestra. Forse ci fermeremo un paio di settimane agli inizi di agosto ma poi si ricomincia: se ad ottobre ci aspetta il campionato, vogliamo farci trovare pronti». Giorgio Trillini è figlio d’arte: in casa si respira rugby. «Ho iniziato a giocare ad 8 anni. A Falconara, perché mio padre Francesco, ex giocatore e tutt’ora allenatore, era lì che allenava. Per un paio d’anni ho smesso, dedicandomi al karate. Ma ho sentito la nostalgia del rugby e capito che questa è la passione che mi accompagnerà per sempre. A casa, con mio padre e mio fratello giocatore anche lui, di rugby si parla sempre: a tavola, commentando partite e allenamenti, discutendo, confrontandosi su quello che ognuno fa, per poi riportarlo nella propria esperienza. Siamo sempre “sul campo”».