JESI – «Certo è una situazione strana e, nella piena incertezza, non è semplice mantenere le motivazioni. Ma noi stiamo reggendo». Lorenzo Cappuccini, pilone della Seniores del Rugby Jesi ’70, non molla. Fa parte del gruppo che continua a lavorare, nelle forme attualmente consentite dalle norme, con la speranza che questo sospirato campionato 2021 possa iniziare.
«Dal punto di vista mentale e fisico- spiega Cappuccini- non è una condizione facile da affrontare. Facciamo lavoro atletico e individuale, senza contatto. Quindi, di rugby vero e proprio, non c’è ormai nulla. Ma questo possiamo e dobbiamo fare. Sportivamente fa male. Specie per chi affronta in un certo senso quelle che saranno le sue ultime stagioni da atleta: ho 34 anni e da quando gioco, oramai quasi vent’anni, non sono mai stato tanto lontano dal rugby. Ma comprendiamo bene quella che è tutta la situazione che ci circonda e che non è possibile fare altrimenti».
La sfida è riuscire a mantenere quel clima di attesa e ambizioni nel quale l’annata era partita. «Il nuovo allenatore, Alessandro Speziali, ha portato un entusiasmo nuovo. Anche se Mariano Fagioli, che è rimasto con noi, aveva certo fatto un buon lavoro, portandoci e facendoci restare in B. Ma cambiare ogni tanto è utile, porta stimoli. E Speziali è un bravissimo tecnico, che sa coinvolgere tutti i ragazzi e i senatori e al tempo stesso responsabilizzare chi sale dalle giovanili e affronta un grosso salto: dalla Under 18 ad una squadra di B che vuole arrivare a lottare per andare in A, categoria che poi sarà in futuro la loro. Un compito non solo tecnico ma anche e soprattutto mentale».
Ci si è trovati però a dover rallentare: «Lo stop ci ha inevitabilmente destabilizzati, proprio quando avevamo aumentato ritmo e livello degli allenamenti. L’assoluta incertezza non aiuta. Ma teniamo duro e, anche se i numeri non sono e non possono essere quelli di qualche tempo fa, restano buoni».
È una storia sportiva tutta da raccontare, quella di Lorenzo Cappuccini. «Sono di Ancona e vengo dal canottaggio. Poi, vedendo in tv una partita di quello che credo fosse ancora il Cinque Nazioni, ho deciso di cambiare. L’unica squadra in zona era proprio Jesi. E così era mia madre, dato che io non avevo ancora la patente, a dovermi accompagnare agli allenamenti. Sono sempre rimasto qui poi, a parte una parentesi, da capitano, ad Ancona una volta nata la società. Ma rugbisticamente sono jesino al 100%, qui c’è il cuore e ci sono la società e i compagni ai quali dare una mano. Quelli con cui ho iniziato e che, più grandi di me, in prima squadra mi hanno praticamente cresciuto, ora sono diventati allenatori oppure hanno figli che adesso giocano con me. Una specie di catena che, certo, ti dà l’idea del tempo che passa, ma che è una cosa bella».